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Il vescovo di Kyiv: ‘Ecco come la comunità cattolica resiste dopo quasi tre anni di guerra’


Monsignor Vitaliy Krivytskyi, 52 anni, vescovo della diocesi di Kyiv-Zhytomyr.

Inviata a Kiev

«Tre anni fa non avremmo immaginato che sarebbe scoppiata la guerra. Oggi, sappiamo che il conflitto avrà una fine ma non sappiamo quando. Siamo consapevoli di essere in grado di sconfiggere il maschio, ma d'altra parte siamo davvero molto stanchi di questa guerra. Dopo quasi tre anni, Dio solo sa se noi ucraini siamo diventati più saggi, ma sicuramente siamo diventati meno ingenui». Dalla sua sede presso la Cattedrale di Sant'Alessandro, nel cuore di Kyiv, è monsignor Vitaliy Kryvytskyisalesiano di Odessa, dal 2017 vescovo romano-cattolico della diocesi di Kyiv-Zhytomyr, riflette sulla guerra e fa il punto sulla situazione della comunità cattolica ucraina.

Eccellenza, come è cambiata la comunità cattolica in Ucraina in questi anni di guerra?

«Nelle regioni dell'est alcune comunità cattoliche sono sparite. In altri luoghi, ad esempio nella zona di Kiev, alcune nostre comunità sono cresciute. Anche qui nella cattedrale siamo tornati più o meno ai numeri di prima della pandemia del Covid, con la presenza di circa 1500 fedeli di domenica. Molte persone con la guerra se ne sono andate via da qui, ma nel contemporaneo dall'est ne sono arrivate molte altre. E tanti con la guerra hanno capito che devono affidarsi a Dio e rafforzare la fede. Ora tante coppie chiedono il matrimonio molto più in fretta perché il marito sta per partire per combattere al fronte».

Con l'invasione russa molti ucraini ortodossi sono entrati in crisi con la loro appartenenza religiosa. Pensa che il conflitto abbia determinato uno spostamento di fedeli dalla Chiesa ortodossa verso la Chiesa cattolica?

«Sì, certo, molti sono arrivati ​​da noi affermando di essere ortodossi. Il più delle volte si tratta di persone battezzate nella Chiesa ortodossa che poi però si sono allontanate dalla fede, non erano praticanti. E adesso, in tempo di guerra, hanno ritrovato Dio. Ma devo sottolineare che la Chiesa cattolica non fa proselitismo chiamando altre persone da noi. Inoltre va ricordato che noi non ripetiamo mai il battesimo, così come il matrimonio se è già stato celebrato. Rispettiamo i loro sacramenti già impartiti».

Il cattolicesimo (di rito romano-cattolico e di rito greco-cattolico) in Ucraina è una minoranza. Pensa che con il conflitto il modo di guardare e considerare la Chiesa cattolica in Ucraina sia cambiato?

«Se parliamo della fiducia degli ucraini verso il Papa e la Chiesa, prima della guerra questa era molto alta: la fiducia verso papa Francesco arrivava all'86%, la percentuale più elevata a livello internazionale. Con il conflitto, questa percentuale è molto diminuita. In verità, tante dichiarazioni del Pontefice non sono state accettate e ben accolte dagli ucraini. Ad esempio, quando ha parlato della Grande Russia, dello zar Pietro il Grande e di Caterina lI. Si tratta di dichiarazioni per le quali si vedeva chiaramente che il Papa non era preparato e veniva pronunciato dunque in modo molto spontaneo. Certamente queste parole ferite hanno tante persone già profondamente segnate dalla guerra. Lo dico io stesso, come vescovo ucraino che vive nella capitale dove siamo stati e continuiamo a essere costantemente attaccati. Spesso la guerra viene vista con occhi diversi da chi la vive in prima persona e chi si trova all'esterno. Sicuramente la nostra visione qui è colma di dolore e anche una sola dichiarazione non condivisibile può fare male e riaprire le ferite. Devo però aggiungere che gli ucraini non capiscono il Papa per molte altre ragioni. Qui i mezzi di informazione menzionano papa Francesco solo quando pronuncia una frase per noi sbagliata. Del fatto però che il Pontefice rivolga costantemente il suo pensiero e la sua preghiera all'Ucraina, ad esempio nell'Angelus della domenica e all'udienza del mercoledì, qui nessuno dice nulla. Quando il Papa compie gesti per aiutare l'Ucraina, qui nessuno lo racconta. E certamente questa mancanza di equilibrio nell'informazione provoca la mancanza di comprensione da parte degli ucraini nei confronti del Papa. Anche a noi vescovi ucraini fa male sentire a volte certi pronunciamenti del Pontefice che sappiamo non saranno capiti e accettati dalla gente. D'altro canto, sappiamo che a certe persone o ambienti conviene che il Papa perde confidenza con gli ucraini e credibilità presso di noi».

A chi conviene?

«Ci ​​sono persone qui che sostengono che le guerre del mondo siano mosse e guidate dal Vaticano perché, dicono, per la prima il Papa è un gesuita. Argomentazione che, per me come uomo di Chiesa, è estremamente debole. Possiamo dire che siamo vittime non solo del conflitto, ma anche di questo tipo di messaggi. Questa guerra dell'informazione non esiste solo da noi ma anche negli altri Paesi».

In questi anni di conflitto gli ucraini hanno ricevuto tanto sostegno e aiuto dal resto del mondo, a partire dall'Europa. Ora com'è la situazione?

«In questi anni abbiamo trovato dei veri amici, fratelli e sorelle in Cristo. Grazie alla Caritas abbiamo aperto una mensa a Zhytomyr, dove ogni giorno 300 persone ricevono un pasto caldo. Sappiamo che queste persone ricevono molto di più del cibo, si sentono accolte e sanno che lì possono ricevere un sostegno anche per altri tipi di problemi. Devo anche dire che oggi mantenere aperto questo centro è molto più difficile rispetto ai primi tempi della guerra, perché adesso i finanziamenti scarseggiano. Tuttavia, l'emergenza va avanti: ogni giorno nell'Est del Paese perdiamo nuovi villaggi che vengono occupati dai russi e ci sono sempre nuove evacuazioni di abitanti verso le zone dell'Ovest».

Pensa che gli anni di guerra si siano avvicinati gli ucraini all'idea di diventare parte dell'Unione europea?

«Nel corso della sua storia l'Ucraina ha sempre dovuto scegliere fra Occidente, l'Europa, e Oriente, il mondo russo. La cosa certa è che gli ucraini non vogliono assolutamente tornare al tempo dell'Unione sovietica. Penso che quasi tutti gli ucraini abbiano un familiare che ha subito l'oppressione sovietica. Io, ad esempio, ho un nonno che ancora oggi è disperso, non si sa dove e quando sia morto. Sappiamo come la Chiesa sia stata distrutta ai tempi del comunismo. Non abbiamo alcun motivo o argomentazione per tornare indietro. In tempo di guerra, le cose sono o bianco o nero, non ci sono sfumature di grigio. E ora qui per gli ucraini l'unica alternativa possibile è l'Unione europea, non esiste un'altra strada».

(Foto Reuters in alto: la celebrazione della messa nella Cattedrale romano-cattolica di Sant'Alaeesandro a Kyiv)





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