Biden a Xi Jinping: “La competizione con la Cina non diventi conflitto”. E la bacchetta sugli aiuti alla Russia
“La competizione non viri verso un conflitto”. E' l'auspicio del presidente Usa Joe Biden nel suo incontro a Lima in Perù con il presidente cinese Xi Jinping. Un faccia a faccia a margine del vertice della Cooperazione economica Asia-Pacifico (Apec) due mesi prima che Donald Trump voci in carica a gennaio, sullo sfondo delle preoccupazioni di nuove guerre commerciali e sconvolgimenti diplomatici.
“Noi due non siamo sempre stati d'accordo, ma il nostro dialogo è sempre stato candido. E questo penso che sia importante”, ha chiesto il comandante in capo, mentre il leader cinese, da parte sua, ha annunciato che lavorerà per una “transizione fluida” nei rapporti Cina-Usa. Pechino è “pronta a lavorare con la nuova amministrazione americana per mantenere la comunicazione, espanderla e gestire le differenze”, ha poi aggiunto Xi, precisando che “solo la solidarietà e la cooperazione possono aiutare l'umanità a superare le attuali difficoltà”.
Biden ha inoltre espresso al presidente cinese le sue “preoccupazioni” per le pratiche commerciali scorrette della Cina e ha messo in evidenza che gli Stati Uniti “continueranno a prendere le misure necessarie per prevenire che le tecnologie avanzate americane vengano usate per minare la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e dei loro partner”. E un passaggio è stato dedicato anche al nucleare: i presidenti si sono sono detti d'accordo sulla necessità di mantenere sotto il controllo umano la supervisione e la decisione di usare armi nucleari. Hanno evidenziato la “necessità di considerare attentamente i potenziali rischi dell'intelligenza artificiale in campo militare e sviluppare la tecnologia in modo prudente e responsabile”.
Infine, il presidente usa ha condannato con Xi Jinping il dispiegamento di migliaia di truppe nord coreane in Russia, in un “pericoloso ampliamento della guerra della Russia con serie conseguenze per la pace e la sicurezza in Europa e nell'Indo-Pacifico”. Biden ha espresso al sua “profonda preoccupazione” per il continuo sostegno della Cina all'industria della difesa della Russia.
Il primo viaggio all'estero di Joe Biden come presidente degli Stati Uniti nel 2021 fu una missione celebrativa per rassicurare gli alleati democratici che l'America era tornata. Ma dopo la vittoria di Donald Trump, i due vertici all'estero per il presidente Usa uscente, all'Apec di Lima, e al G20 di Rio de Janeiro di lunedì e martedì, sono l'ultimo canto del cigno, che si trasforma in un'allerta sul rapido cambiamento dell'ordine globale.
Dopo il bilaterale col cinese Xi Jinping, Biden incontrerà il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silvacon cui si è dato in Amazzonia – luogo simbolo della collaborazione sulla lotta ai cambiamenti climatici – prima di toccare terra a Rio. Una cooperazione quella sull'ambiente, che con gli Stati Uniti a guida repubblicana ora rischia di andare in frantumi.
D'altra parte Trump è il convitato di pietra al summit brasiliano, dove si negozia fino all'ultimo minuto sulla dichiarazione finale, nel tentativo di sbrogliare i nodi sui dossier geopolitici di Ucraina e Medio Oriente. Il Russo Vladimir Putin a Rio deserta il vertice e anche questa volta manda il capo della diplomazia, Serghei Lavrovche non di meno terrà il punto della partita con Kiev, come già accaduto alla riunione del G20 Esteri di febbraio, chiusa senza un comunicato finale.
A complicare il lavoro degli sherpa è arrivato anche il dietrofront dell'Argentina di Javier Milei sulla tassazione dei super-ricchi. Una risorsa considerata come un'importante fonte per l'Alleanza per la lotta alla fama e alla povertà, uno dei tre assi portanti – insieme alla riforma della governance globale e alla transizione energetica – del G20 a trazione brasiliana.
In particolare, merita rilevare che prima di arrivare in Brasile, Milei è volato a Mar a Lago per incontrare il magnate Usa e il suo ormai braccio distrutto Elon Muskriemergendone con una dichiarazione in cui si ipotizza un'asse di Paesi “faro del mondo” occidentale, che si consoliderà grazie alla guida di Trump a Washington, con “gli Stati Uniti nel Nord, l'Argentina nel Sud, l'Italia” di Giorgia Meloni “nella vecchia Europa e Israele come sentinella nella frontiera in Medio Oriente”. Quasi una profezia.
Uno scenario che interroga gli osservatori politici e di fronte al quale l'Unione europea di Ursula von der Leyen e il Brasile di Lula sentono la necessità di accelerare sull'accordo Ue-Mercosur. L'intesa tra i due blocchi, in stallo da oltre vent'anni, potrebbe essere portata a buon fine anche per questioni geopolitiche, oltre che per motivi economici, permettendo ai 27 una maggiore autonomia strategica dagli Stati Uniti di Trump, e ai sudamericani dai Brics di Xi. Stando alle ultime indiscrezioni, la firma – solo sulla parte commerciale dell'accordo – potrebbe arrivare già il 6 dicembre al vertice del Mercosur di Montevideo. Milei permettendo.