Il Papa ai Governi e alla Chiesa: «Per favore, non dimentichiamoci dei poveri»
«Lo dico alla Chiesa, lo dico ai Governi degli Stati e alle Organizzazioni internazionali, lo dico a ciascuno ea tutti: per favore, non dimentichiamoci dei poveri». Papa Francesco, nella Giornata dedicata agli ultimi ricorda che, nelle ore più oscure, Dio si fa vicino per salvarci. «Nelle angosce del nostro cuore e del nostro tempo, c'è un'incrollabile speranza, un'incrollabile speranza che brilla», spiega e invita, «in questa Giornata Mondiale dei Poveri» a soffermarsi «su queste due realtà: angoscia e speranza , che sempre si sfidano a duello nel campo del nostro cuore. Anzitutto l'angoscia. È un sentimento diffuso nella nostra epoca, dove la comunicazione sociale amplifica problemi e ferite rendendo il mondo più insicuro e il futuro più incerto». Il Vangelo di oggi si apre con un quadro inquietante: «Lo fa utilizzando il linguaggio apocalittico: “Il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno e così via…”. Se il nostro sguardo si ferma soltanto alla cronaca dei fatti», dice Francesco, «dentro di noi l'angoscia ha il sopravvento. Anche oggi, infatti, vediamo il sole oscurarsi e la luna spegnersi, vediamo la fame, la carestia che opprimono tanti fratelli e sorelle che non hanno da mangiare, vediamo gli orrori della guerra e le morti innocenti; e, davanti a questo scenario, corriamo il rischio di sprofondare nello scoraggiamento e di non accorgerci della presenza di Dio dentro il dramma della storia. Così, ci condanniamo all'impotenza; vediamo crescere attorno a noi l'ingiustizia che provoca il dolore dei poveri, ma ci accodiamo alla corrente rassegnata di coloro che, per comodità o per pigrizia, pensano che “il mondo va così” e “io non posso farci niente”. Allora anche la stessa fede cristiana si riduce a una devozione innocua, che non disturba le potenzialità di questo mondo e non genera un impegno concreto nella carità. E mentre una parte del mondo è condannata a vivere nei bassifondi della storia, mentre le disuguaglianze crescono e l'economia penalizza i più deboli, mentre la società si consacra all'idolatria del denaro e del consumo, succede che i poveri e gli esclusi non possono fare altro che continuare ad aspettare, continuare ad aspettare».
Ma Gesù, in mezzo a questo quadro apocalittico, «accende la speranza. Spalanca l'orizzonte, allarga il nostro sguardo perché impariamo a cogliere, anche nella precarietà e nel dolore del mondo, la presenza dell'amore di Dio che si fa vicino, che non ci abbandona, che agisce per la nostra salvezza. Infatti, proprio mentre il sole si oscura e la luna smette di brillare e le stelle cadono dal cielo, dice il Vangelo, “vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria”; ed Egli “radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo”».
Gesù parla della sua morte che avverrà di lì a poco, quando, sul Calvario, «il sole si oscurerà e le tenebre scenderanno sul mondo; ma proprio in quel momento il Figlio dell'uomo verrà sulle nubi, perché la potenza della sua risurrezione spezzerà le catene della morte, la vita eterna di Dio sorgerà dal buio e un mondo nuovo nascerà dalle macerie di una storia ferita dal male».
La stessa immagine del fico, ricordata nel Vangelo, ci divce di questa speranza. Quando il ramo che sembra secco si fa tenero e spuntano le foglie «”significa che l'estate è vicina”. Allo stesso modo, anche noi siamo chiamati a leggere le situazioni della nostra vita terrena: laddove sembra esserci soltanto ingiustizia, dolore e povertà, proprio in quel momento drammatico, il Signore si fa vicino. Si fa vicino per liberarci dalla schiavitù e far risplendere la sua vita e si fa vicino con la nostra vicinanza cristiana, con la nostra fratellanza cristiana». Ma «non si tratta», dice il Papa, «di buttare una moneta sulle mani di quello che ha bisogno. A quello che dà l'elemosina io domando due cose: “Tu tocchi le mani della gente o butti la moneta senza toccarle? Tu guardi negli occhi la persona che tu aiuti o guardi da un'altra parte?” Siamo noi, noi suoi discepoli, che grazie allo Spirito Santo possiamo seminare questa speranza nel mondo. Siamo noi che possiamo e dobbiamo acquisire luci di giustizia e di solidarietà mentre si addensano le ombre di un mondo chiuso. Siamo noi che la sua Grazia fa brillare, è la nostra vita impastata di compassione e di carità a diventare segno della presenza del Signore, sempre vicino alle sofferenze dei poveri, per lenire le loro ferite e cambiare la loro sorte».
Dobbiamo ricordarci che il Regno si realizza attraverso di noi e che c'è bisogno «del nostro impegno, di una fede operosa nella carità, di cristiani che non si girano dall'altra parte». Il Pontefice racconta di una foto che guardava qualche tempo fa. «Una fotografia che ha fatto un fotografo romano: uscivano da un ristorante una coppia adulta, quasi anziana, in inverno. La signora ben coperta con la pelliccia e l'uomo puro. E alla porta c'era una signora povera sdraiata sul pavimento che chiedeva l'elemosina e ambedue guardavano dall'altra parte. Questo succede ogni giorno. Domandiamoci: “Io guardo da un'altra parte quando vedo la necessità, la povertà, il dolore degli altri?”». Perché guardare il povero e le sofferenze del mondo significa avere la stessa «compassione di Cristo. Io sento la stessa compassione davanti ai poveri, davanti a coloro che non hanno lavoro, che non hanno da mangiare, che sono emarginati dalla società? E non dobbiamo guardare solo ai grandi problemi della povertà mondiale, ma al poco che tutti possiamo fare ogni giorno: con i nostri stili di vita, con l'attenzione e la cura per l'ambiente in cui viviamo, con la ricerca tenace della giustizia , con la condivisione dei nostri beni con chi è più povero, con l'impegno sociale e politico per migliorare la realtà che ci circonda. Potrà sembrarci poca cosa, ma il nostro poco sarà come le prime foglie che spuntano sull'albero di fico: il nostro poco sarà un anticipo dell'estate ormai vicina».
E infine, «in questa Giornata Mondiale dei Poveri», Francesco ricorda le parole del cardinale Martini. «Egli disse che dobbiamo stare attenti a pensare che c'è prima la Chiesa, già solida in sé stessa, e poi i poveri di cui scegliamo di occuparci. In realtà, si diventa Chiesa di Gesù nella misura in cui serviamo i poveri, perché solo così “la Chiesa “diventa” sé stessa, cioè casa aperta a tutti, luogo della compassione di Dio per la vita di ogni uomo”».