Fine vita: proporzionalità delle cure e rifiuto dell’eutanasia
In qualità di Presidente nazionale dell'Associazione Italiana di Pastorale Sanitarialo scorso 6 novembre, ho ricevuto l'invito in aula, dalla segreteria del Senato della Repubblicaper una Audizione in presenza, dinanzi ai rappresentanti dei Gruppi delle Commissioni 2a e 10a riunite, nell'ambito dell'esame dei disegni di legge nn. 65, 104, 124, 570 e 1083 (disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita).
L'Audizione si è tenuta l'11 Novembre alle ore 15.30. Ho accettato di buon grado l'invito riguardo un tema su cui, come Associazione AIPaSriflettiamo da molti anni. Ho pertanto domandato ai tre soci AIPaS (don Paolo Fini, Dott.ssa Cinzia Ceccaroli, Dott. Giovanni Donati) di collaborare con me alla stesura di un elaborato che argomentasse il nostro pensiero, riguardo al delicatissimo tema in esame.
In sintesi all'AIPaS sembra che la materia debba essere oggetto di una discussione approfondita che analizza con competenza i vari elementi giuridici, clinici, culturali, spirituali, sociali, economici, etici, bioetici, in gioco al fine di promulgare una legge dello Stato, che coniughi il diritto all'autodeterminazione di ogni persona, riguardo la propria esistenza, e le istanze di tutela della vita umana.
Come AIPaS siamo a favore della “proporzionalità dei trattamenti”, contro “l'accanimento terapeutico”, che oggi si definisce meglio con l'espressione “ostinazione irragionevole” e contro “l'Eutanasia”. Occorre tener conto della separazione tra uccidere e lasciare morirequando i mezzi terapeutici diventano sproporzionati. Uccidere invece è sospendere dei mezzi terapeutici ancora proporzionati rispetto alla situazione del malato. Quindi servirebbe una valutazione caso per caso.
Abbiamo altresì sottolineato l'importanza delle cure palliative garantendone un reale accesso a tutti coloro che ne hanno necessità (non in modo ristretto e parziale come spesso avviene sul territorio) e le disposizioni anticipate di trattamento comunemente definito “testamento biologico” o “biotestamento”.
Si tratta dunque di un approccio alla malattia che metta al centro la relazione e il malato, non l'accanimento, non l'ostinazione irragionevole, non esaltando la esclusiva dimensione biologica. Di fatto quando non si può guarire, ci si può sempre prendere cura dei malati.
Occorre una attenta difesa del diritto alla vita, soprattutto per i più deboli (disabili) o su quei pazienti sui quali possono sussistere dei condizionamenti dettati dalla natura ed effetti delle gravi patologie e delle cure che possono incidere sulla capacita' di valutazione, giudizio, decisione e scelta.
Rimane aperta e problematica la questione delle malattie mentali, alcuni tra loro hanno tra i sintomi la ricerca di tentativi autolesionistici e anticonservativi (si vedono depressi maggiori resistenti al trattamento). Per queste situazioni potrebbe essere prevista una valutazione maggiormente adeguata, attraverso un comitato di valutazione clinica.
Per la composizione dei Comitati per la valutazione clinica (art.7 del ddl104) riteniamo di non essere inseriti, come dice la proposta di articolo, figura che si occupano della parte biologica, psichica, psicologica, sociale, giuridica, etica senza dimenticare quella spirituale importante dimensione della cura e dell'assistenza. Ricordiamo che l'assistenza spirituale accompagna i percorsi di cura del paziente, le sue domande, i dubbi, le sofferenze e le difficoltà attraverso figure in forza all'istituzione, come gli assistenti spirituali e religiosi degli ospedali e degli hospice.
don Isidoro Mercuri Giovinazzo
Presidente nazionale AIPaS -Associazione Italiana di Pastorale Sanitaria