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Misteri, prove, cinque sentenze in 13 anni: le verità giuridiche sulla morte di Senna


Ci sono voluti ben cinque gradi di giudizio e 13 anni di perizie e dibattimenti in aula per avere una verità giuridica sui motivi e sulle responsabilità dell'incidente che ha cambiato per sempre la Formula 1: la storia del “processo sportivo del secolo”

1 maggio – 00:01 – MILANO

Un istante maledetto in un weekend da incubo. Alle 14.17 della surreale domenica 1° maggio 1994, nel corso del settimo giro del GP di San Marino, in piena accelerazione Ayrton Senna finisce dritto contro il muro all'esterno della semicurva del Tamburello: l'impatto è terribile e, nonostante i soccorsi immediati da parte del personale medico e sanitario del circuito, le sue condizioni appaiono subito disperate. Sarà dichiarato morto poco più di quattro ore dopo all'Ospedale Maggiore di Bologna, e da allora il mondo non sarà più lo stesso: non solo perché a ogni primo maggio il mondo dei motori pare fermarsi nel ricordo del suo campione più brillante e amato, ma anche sul piano della sicurezza in Formula 1, che dopo la tragedia farà passi in avanti enormi. Non senza polemiche, verità taciute, misteri e un iter processuale lungo e farraginoso per accertare le cause e conoscere la responsabilità dell'incidente.

IL PROCESSO DEL SECOLO

All'epoca era stato ribattezzato come “il processo sportivo del secolo”. E a ragione: con ben cinque gradi di giudizio e una durata complessiva di oltre dieci anni, il procedimento penale per ricostruire gli ultimi attimi della vita di Senna è stato per davvero un evento mediaticamente e giuridicamente enorme. A partire anche dalle infrastrutture utilizzate: dopo aver negato il trasferimento del processo a Bologna, il processo inizia il 20 febbraio del 1997, quasi tre anni dopo il tragico incidente che ha cambiato la storia della F1, a Imola. Per far fronte alle richieste dei giornalisti di presenziare, alla fine la scelta del Comune è infatti quella di allestire ad aula da tribunale la grande sala Europa dentro al Palazzo dei Circoli, normalmente utilizzata per feste ed eventi.

RINVIO A GIUDIZIO

Sei sono gli indagati che vengono rinviati a giudizio per il reato di concorso in omicidio colposo: i boss della Williams, Frank Williams e Patrick Head, il direttore tecnico del team Adrian Newey, il delegato Fia Roland Bruynseraede al tempo responsabile della sicurezza dei circuiti, insieme a Federico Bendinelli e Giorgio Poggi della Sagis, l'ente che fino al 2007 ha gestito l'Autodromo Enzo e Dino Ferrari. Le indagini preliminari scagionano invece altri meccanici e ingegneri Williams, così come il personale della Simtek in merito alla morte di Roland Ratzenberger: il pilota austriaco, scomparso un giorno prima di Ayrton in seguito a un violento impatto alla curva Gilles Villeneuve, aveva infatti perso il controllo nel punto più veloce del circuito ma a causa del cessione dell'ala anterioreprobabilmente causato da un precedente passaggio aggressivo su un cordolo.

ACCUSA E DIFESA

Sin dai primi giorni dopo l'incidente, diverse sono le tesi formulate dagli addetti ai lavori. Presto bocciate le ipotesi di un errore o di un malore del pilota – che fino all'ultimo è anzi in pieno controllo della monoposto, e riesce anche a frenare riducendo parzialmente la velocità prima dell'impatto – le due principali teorie seguite nel corso del processo sono quelle della cattiva manutenzione del manto stradale, con un pericoloso dosso che avrebbe innescato l'uscita di pista di Ayrton, e quella del cessione strutturale sulla Williams FW16 del campione brasiliano. Certo è che ci sono numerose testimonianze dei soccorritori (e persino delle prove fotografiche) che raccontano come il volante era rimasto attaccato a un frammento del piantone dello sterzo ed era stato poi adagiato in verticale dai paramedici, di fianco all'abitacolo incidentato. È l'evidente anomalia attorno a cui ruota tutto l'impianto accusatorio: secondo l'accusa, il piantone si sarebbe spezzato in marcia causando direttamente l'incidente di Senna, mentre per gli avvocati della Williams la rottura sarebbe da imputare al successivo impatto con le barriere.

IL PIANTONE

Potrebbe sembrare forse una questione di poco conto, e invece è cruciale per stabilire le responsabilità. Secondo altre testimonianze, anche interne alla stessa Williams, Ayrton – che a Imola correva la terza gara della carriera con il team inglese – sin dall'inizio stagione lamentava di non trovarsi particolarmente agio nell'abitacolo molto stretto progettato da Newey. Per trovare un po' di comodità, il campione brasiliano aveva chiesto alcuni interventi alla colonna dello sterzo, che a Imola era stata dunque abbassata di qualche millimetro per venire incontro alle richieste del pilota. Modifiche che il pubblico ministero Maurizio Passarini riteneva frettolose ed effettuare senza la dovuta perizia, anche a causa dell'utilizzo di una prolungazione di metallo di qualità e diametro inferiore rispetto alle componenti originali. Per l'accusa, l'incidente si sarebbe quindi generato dalla rottura del piantone, di per sé meno resistente e comunque molto sollecitato dagli avvallamenti e dalle vibrazioni che le monoposto subivano alle alte velocità in pista, seppur considerato normale per gli standard della F1 dell 'epoca. A fare il resto, poi, lo scarso spazio nella via di fuga del Tamburello, che non aveva dato tempo e modo a Senna di rallentare a sufficienza prima dell'impatto fatale.

I MISTERI

Non mancano neanche alcuni misteri. Forse per coincidenza o per un errore della regia, le immagini trasmesse dalla camera car di Ayrton si interrompono qualche secondo prima dell'impatto, così come anche le due centraline elettroniche montate sulla Williams del campione risulteranno inutilizzabili ai fini processuali. La prima, a disposizione della scuderia, sarà consegnata agli inquirenti totalmente distrutta – con danni non compatibili con l'incidente, secondo gli esperti tecnici nominati dalla procura – mentre la seconda risulterà funzionante ma con i dati sovrascritti per sbaglio dagli ingegneri della Renault (che all'epoca forniva i motori alla squadra) in un successivo test del propulsore al banco. Decisivo nella ricostruzione della causa dell'incidente è quindi il lavoro del consorzio Cineca, che riuscirà a ricostruire con le immagini delle telecamere a bordo il movimento del tutto anomalo dello sterzo dell'auto di Senna negli istanti precedenti l'incidente.

LA PRIMA SENTENZA

Il processo di primo grado si conclude comunque con l'assoluzione di tutti gli imputati: Frank Williams, Patrick Head e Adrian Newey vengono assolti per “non aver commesso il fatto”, mentre le altre tre persone coinvolte sono assolte “perché il fatto non sussiste”. La differenza è sottile ma importante, chiarita nelle motivazioni della decisione del pretore Antonio Costanzo: il giudice specifica che le risultanze delle indagini non consentono di verificare la verosimiglianza dell'ipotesi della difesa (l'incidente causato dall'asfalto e non dal cedimento meccanico) e che invece l'anomalia allo sterzo si presti meglio a spiegare l'uscita di pista in una semicurva poco o per nulla impegnativa per un pilota dell'esperienza di Senna. Il “fatto”, inteso come cedimento meccanico del piantone, dunque sussiste anche se la sentenza di primo grado non riesce ad individuare in Williams, Head o Newey eventuali responsabilità.

IL LUNGO ITER

Il processo riparte per il secondo grado di giudizio dinanzi alla Corte d'Appello di Bologna nell'autunno del 1999, con il PM che ricorre contro le sole assoluzioni di Patrick Head e Adrian Newey, accogliendo dunque le assoluzioni di Frank Williams e degli altri tre imputati in primo grado. La sentenza stavolta è favorevole agli imputati, assolti “perché il fatto non sussiste”. Nel 2003, la Corte di Cassazione annulla però la sentenza e rinvia il giudizio a un secondo procedimento d'appello, che è poi quello che in cui si cristallizzerà di fatto la verità processuale circa la morte di Senna: il 27 maggio del 2005, la La Corte d'Appello di Bologna assolve Adrian Newey per “non aver commesso il fatto” (la stessa formulazione della prima sentenza) e escludere la responsabilità di Patrick Head per le modifiche “male progettate e male eseguite” sul piantone dello sterzo di Ayrton, anche se il reato è estinto per sopraggiunti termini di prescrizione. Il 13 aprile 2007, a quasi 13 anni dall'incidente del 1° maggio 1994, la Cassazione rigetterà la richiesta di assoluzione con formula piena avanzata dai legali del co-fondatore della Williams.





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