Economia Finanza

Come gli atenei sono diventati ciechi e intolleranti


Le immagini provenienti dalle università degli Stati Uniti lasciano senza parole. I movimenti studenteschi sono passati dal femminismo alla solidarietà con l'integralismo islamico di Hamas, dalla condanna del fascismo all'antisemitismo strisciante, dal politicamente corretto alla intolleranza. Com'è possibile? Non è una storia iniziata di recente. Nel 1987, il filosofo Allan Bloom pubblicò un libro destinato a fare scalpore, La chiusura della mente americana (Lindau). Secondo l'autore erano, gli atenei americani davanti a un bivio. Tornare ai fondamentali, cioè ai classici del pensiero occidentale, oppure votarsi all'autodistruzione sposando la dialettica post marxista e il relativismo culturale. Saul Bellow, Premio Nobel per la letteratura, scrisse che «tutti gli asini d'America si sono coalizzati contro Bloom». Il saggio, continuava Bellow, «fece infuriare i rappresentanti del mondo accademico. Vi erano elencati i difetti del sistema in cui loro si erano formati, la superficialità del loro storicismo, la loro debolezza per il nichilismo europeo». Bloom sosteneva che gli americani hanno subito il fascino di Jacques Derrida e Michel Foucault. Il primo partiva dall'assunto che il linguaggio era uno strumento del potere: decostruirlo era il primo passo verso la libertà. Da qui nascono il politicamente corretto e le battaglie per la schwa. Foucault attirava l'attenzione sul corpo e sulla sessualità, campi sui quali il potere esercita uno stretto controllo. E da qui nascono le battaglie sul genere e la affermazione che tutto sia cultura e nulla sia natura.

Il relativismo, scriveva Bloom, era la fase anteriore alla «chiusura mentale», ciascuno chiuso nella sua nicchia vittimistica e pronto a uscirne solo per reclamare censura e trattamento speciale. Il relativismo implicava anche che nessuna civiltà poteva essere proclamata superiore alle altre. Concetto che andava a mescolarsi con la cosiddetta decolonizzazione, teorizzata, ad esempio, dal palestinese Edward Said.

Ed ecco pronto il retroterra culturale delle proteste (incoerenti) di questi giorni. Allan Bloom è stato sconfitto. Ora, con il consueto ritardo, il declino avanza anche nelle università italiane. Non è solo una questione di ideologie bacate, quelle ci sono sempre state. È una questione di ignoranza e supponenza, finto ugualitarismo e vera intolleranza.

Bloom non si fermava qua. Aggiungeva la facile profezia del crollo della qualità delle élite: «I professori, depositari delle nostre migliori tradizioni, cominciarono ad adulare ignobilmente quella che era solo una marmaglia, chiedendo perdono per non aver capito le più importanti questioni morali. Osservando questo spettacolo, continuava a venirmi in mente l'abusata frase di Marx: la storia si ripete sempre, la prima volta come tragedia, la seconda come farsa». La democrazia si apprestava a cambiare volto: la meritocrazia non c'entrava più nulla. Uno studente non avrebbe potuto più sperare di raggiungere la vetta della società soltanto per la bontà del suo lavoro. Altri fattori sarebbero entrati in campo: le eccezioni, le quote e la discriminazione al contrario. Ma anche il ritorno del denaro e delle entrature: dove non ci sono ideali solidi, presto o tardi, riprende forza il darwinismo sociale.

Non sarebbe stato un cambiamento unicamente culturale ma antropologico, descritto da Tom Wolfe in molti reportage e nel romanzo Io sono Charlotte Simmons (Mondadori). Accolto come il prodotto di un conservatorismo spaventato da ogni cambiamento, il libro fu liquidato dai critici. E invece…

Charlotte, brava ragazza di provincia, scopre il mondo dell'università ma le cose vanno male. Brutale sopraffazione e conformismo soffocante sono le caratteristiche principali del luogo dove si formano i futuri dirigenti del Paese più importante del mondo. Ci sono il femminismo e il «politicamente corretto», i diritti delle minoranze e l'accusa di razzismo e di molestie sessuali. Ma c'è, anche qua, il rovescio della medaglia. Lo status sociale, il mito del successo e il disprezzo per la cultura.

Vedremo se sarà così.



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