Per fronteggiare il caro prezzi del cacao spazi di crescita per le carrube
Le carrube sono tornate d'attualità. Prima la ricerca di superfood e prodotti più naturali, poi l'esplosione delle quote del cacao (da inizio anno + 170% a Londra e +169% a New York secondo Areté) hanno riacceso i riflettori su questo legume “ancestrale”, citato già nel Vangelo, dalla cui polpa si ricava una farina che è considerato un ottimo surrogato del cacao e dai semi un addensante molto usato nell'industria alimentare (indicato sulle etichette come E410). E così nell'ultimo triennio la domanda è letteralmente esplosa ma se è presto trovata a fare i conti con un'accentuata e generalizzata scarsità di prodotto. Il che ne ha rialzato le quote, facendole quintuplicare fino a oltre 30 euro al kg.
Anche in Italia, paese che, con le sue 35mila tonnellate di media annua (fonte Ismea), si gioca con il Portogallo il secondo posto nella classifica dei produttori mondiali, dietro il leader Marocco. Gli effetti sono stati disastrosi: le quote andate alle stelle hanno innescato nel 2023 la riduzione della richiesta da parte delle aziende del food, che hanno ripiegato verso sostitutivi del cacao e addensanti più economici (come il guar). Risultato: domanda ferma, crollo dei prezzi e grandi difficoltà per i trasformatori di carrube, concentrati in Sicilia, dalle cui province di Ragusa e Siracusa arriva il 95% della produzione italiana.
«Il 2023 è stato un anno di crisi, come non si vedeva dai tempi della lira –spiega Lorenzo Antoci, proprietario di Sicilian Carob Flour, che lavora 4mila tonnellate annue di bacelli, perlopiù destinati alla produzione di mangimi e petfood, e che ha chiuso il 2023 con circa 4 milioni di euro di fatturato – ma ora stiamo assistendo a una ripartenza della domanda, soprattutto nel food, settore in cui siamo entrati da pochi mesi, dopo aver ottenuto le necessarie autorizzazioni”. Che l'alimentazione umana sia lo sbocco più promettente lo pensano in molti, anche per la crescente richiesta di prodotti clean label e adatti ai celiaci. Ma il made in Italy non riesce a cavalcarla.
«Nel mondo nel gluten free c'è una forte domanda di farina di semi di carrube ma in Italia è impossibile trovare quantità adeguate alle esigenze delle industrie anche perché non si è ancora riusciti a istituire una filiera che vada dalla raccolta alla trasformazione” spiega Roberta Prandoni, sviluppatore alimentare. Ma qualcosa si sta muovendo. Alcuni mesi fa, attingendo i fondi del Pnrr, nel ragusano è stato avviato un contratto di filiera, guidato dalla società LGB Sicilia Ingredients, per iniziare 67 ettari di nuovi carrubeti entro il 2026 e mettere in rete tutti gli attori del settore.
«Credo che occorra riconoscere alla carruba una sua dignità e non considerarla semplicemente un sostitutivo di altri ingredienti», afferma Luciana Cipriani, co-fondatrice di Natura Humana, che ha brevettato un processo per estrarne una melassa usata in molti prodotti spalmabili a basso indice glicemico distribuito in negozi di alimenti naturali e ristoranti vegani. Un business appena partito ma che sta crescendo molto in fretta, e che nel 2024 si prevede triplicherà gli 80mila euro incassati l'anno scorso. Quello dei prodotti a valore aggiunto è un filone in cui sono inseriti diversi produttori, soprattutto in Puglia, come l'Amaro d'Itria o Freecao, il “cioccolato” (ma per legge non lo si può definire così, ndr) ottenuto riducendo del 90% il consumo di acqua e dell'80% le emissioni di CO2 rispetto alla produzione di cacao.