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Quei centri che il governo non riesce ad aprire e il miraggio dei rimpatri


Alla fine, visto come si sono messe le cose, il Viminale ha pensato che fosse venuta l'ora di svelare almeno uno dei dieci nuovi Cpr (uno per regione) che il governo, da un anno e mezzo, dice di voler realizzare senza che però la lista dei siti candidati ad ospitare i centri per il rimpatrio (che neanche gli amministratori di centrodestra vogliono sul loro territorio) venga fuori. «Lo faremo prima dell'estate», garantisce ora Piantedosi. E dire che già con la finanziaria del 2023, il governo aveva stanziato fondi ad hoc, aumentati a novembre scorso con altri 14 milioni di euro che portano a venti la cifra destinata ai nuovi Cpr.

I “Paesi sicuri”

Più facile, per il governo Meloni, puntare sui centri in Albania per tentare di rimandare a casa più migranti possibili, a costo di buttare quasi un miliardo di euro in un'operazione che non si sa neanche quando partirà e di allungare la lista dei cosiddetti “Paesi sicuri”, includendone persino uno come l'Egitto, dove il mancato rispetto dei diritti umani è un dato di fatto acquisito. Ma questa è un'altra storia.

L'impossibile rientro a casa

La storia di Hasan Hamis, per stare al caso che ha rilanciato la questione Cpr, è quella di un immigrato sicuramente pericoloso, più volte condannato e arrestato, tre volte espulso, ma che l'Italia non è mai riuscita a rimpatriare. Prima perché il Marocco, uno dei pochi Paesi d'origine con i quali l'Italia ha un accordo di rimpatrio, ha fatto melina prima di riconoscere la sua identità, poi perché l'ultima volta che un questore (quello di Avellino) ha firmato l'ennesima espulsione, nel 2023, non c'era posto in nessuno degli otto Cpr attivi in ​​Italia dove la gente entra, ma difficilmente esce. Soprattutto ora che il governo ha aumentato da tre a diciotto mesi il periodo di detenzione in attesa del rimpatrio.

Spingere al massimo i rimpatri

E dire che Piantedosi, dei rimpatri, ha proprio il pallino. L'indicazione dal Viminale è quella di spingere al massimo. Nel 2023 i migranti rispediti a casa sono stati 4.743, il 10,5% in più del 2022, un trend che sembra consolidato nei primi mesi del 2024. Alla data dell'8 maggio, i rimpatri effettuati sono stati 1.639 contro i 1.578 dello stesso periodo dello scorso anno. Solo nelle ultime settimane in 437 sono stati rimandati indietro, la maggior parte in Tunisia. Piantedosi non manca di pubblicizzarlo dai suoi social, che danno conto costantemente delle espulsioni di immigrati, siano sospettati di terrorismo, socialmente pericolosi o semplicemente illegali su suolo italiano. Ma è proprio sul grande equivoco tra questi due termini, “espulsioni” e “rimpatri” effettivi, che si gioca tutta la comunicazione del governo per dare testimonianza «del costante impegno nel contrasto all'immigrazione irregolare». Peccato che — come dimostra la vicenda di Milano — in almeno otto casi su dieci gli espulsi non vengono rimpatriati, vuoi per mancanza di accordi con i Paesi d'origine, vuoi per i costi enormi di ogni rimpatrio (tra 2.500 e 3.000 euro a persona ) tra volo, noleggio dell'aereo, carburante, personale impiegato, scorta, vuoi per le carenze di organico delle forze dell'ordine, che rendono un'impresa titanica trovare due uomini da destinare al controllo di ciascun migrante da rimpatriare. E così, nell'80 per cento dei casi, i questori si vedono costretti a consegnare un foglio di via che impone di lasciare il Paese in sette giorni con mezzi propri, cosa che ovviamente nessuno fa. Persino i più pericolosi, quelli che di solito vengono rinchiusi nei Cpr, nella maggior parte dei casi finiscono per tornare liberi: le ultime statistiche confermano che il tasso dei rimpatri degli ospiti dei Cpr non arriva al 50%.

Veri e propri lager

E nel frattempo, per tenere in piedi centri da anni ridotti a veri e propri lager, senza neanche il controllo della giurisdizione italiana, che servono solo ad arricchire i privati ​​che si candidano a gestirli, l'Italia spende circa 40.000 euro al giorno per meno di 400 persone mediamente presenti. Un buco nero che, secondo le ultime stime della Corte dei conti, nell'ultimo triennio ha inghiottito 44 milioni di euro.



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