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L’abbraccio tra israeliano e palestinese commuove il papa: ‘La pace non sarà mai frutto di muri’


L'abbraccio tra due imprenditori, uno israeliano e uno palestinese, concludono l'incontro dell'Arena di pace a Verona con papa Francesco. «Non c'è nulla da dire di fronte a questo abbraccio, solo silenzio», scandisce Bergoglio che chiede ai diecimila presenti in Arena di pregare facendo un momento di silenzio.

L'israeliano Maoz Inon ha perso i genitori, uccisi il 7 ottobre da Hamas, e il palestinese Aziz Sarah il fratello in guerra. Si stringono la mano e le sollevano in alto e tutta l'Arena si alza in piedi per applaudire: «Crediamo che la pace sia la più grande impresa da realizzare», dicono, «non ci può essere pace senza un'economia di pace. Un'economia che non uccide. Un'economia di giustizia».

Papa Francesco, nella risposta, lascia da parte il testo scritto e parla a braccio: «Credo che davanti alla sofferenza di queste due persone che rappresentano la sofferenza di due popoli non si può dire nulla. Loro», dice, «hanno avuto il coraggio di abbracciarsi. Questo non è solo coraggio ma la testimonianza di volere la pace e un progetto per il futuro: abbracciarsi. Tutti e due hanno perso i familiari. La famiglia si è rotta per questa guerra. A che serve la guerra? Facciamo un piccolo momento di silenzio. Di questo non si può parlare ma solo restare in silenzio. Guardando a queste due persone ognuno preghi in silenzio per la pace e la fine delle guerre. Pensiamo ai bambini in questa guerra e in tante guerre. Quale futuro avrà? Mi vengono in mente i bimbi ucraini che incontro a Roma, non sanno sorridere. I bambini nella guerra perdono il sorriso. I vecchi che hanno lavorato tutta la vita per portare avanti questi Paesi e ora vivono una sconfitta storica e per tutti noi. Preghiamo per la pace e diciamo a questi due fratelli che portino il nostro desiderio di pace ai loro popoli». L'anfiteatro romano, simbolo della città scaligera, ospita questi raduni dal 1986, quando fu organizzato dai Beati costruttori di Pace per discutere di disarmo, obiezione di coscienza e stili di vita. Da allora si è svolto nel 1987, poi nel 1989 con il celebre “grido” di don Tonino Bello («In piedi costruttori di pace»), ancora due volte nel 1991, in concomitanza con la Guerra del Golfo, nel 1993, nel 2003 e l'ultimo, il 25 aprile 2014.

Maria Rosa Guandalini delle “Donne in nero” – movimento internazionale pacifista che conta oltre diecimila militanti in tutto il mondo lanciato nel 1988 da alcune donne israeliane di Gerusalemme per protestare contro l'occupazione della Palestina dopo lo scoppio della Prima Intifada fa appena in tempo a comporre la scritta “Cessate il fuoco” su uno dei gradoni dell'Arena prima dell'arrivo di papa Francesco, accolto da circa diecimila persone arrivate fin dal mattino. Guandalini ha vissuto tutte le “arene”, dalla prima, nel 1986, a quella del 2014: «Rispetto a oggi c'è una differenza sostanziale», dice, «in passato c'erano meno disillusione e più speranza di poter cambiare le cose . Oggi invece c'è sconforto, pessimismo, a volte rabbia. In questo luogo abbiamo avuto diverse figure profetiche come don Tonino Bello che ci hanno dato la forza di agire. È stato grazie a lui se dopo l'Arena del 1989 abbiamo incontrato le donne di Belgrado, vittime della guerra che ha devastato l'ex Jugoslavia negli anni Novanta».

Guandalini dice che oggi «mancano i giovani, a volte noi adulti non riusciamo a trasmettere queste cose, spero che l'incontro di oggi con papa Francesco li mobiliti ancora di più, li convinca ad agire. La speranza deve diventare un'azione». Per Guandalini la presenza di papa Francesco è fondamentale: «Oggi è l'unico leader mondiale che parla in maniera chiara contro la guerra ei produttori ei trafficanti di armi ma mi rendo conto che anche lui ha difficoltà a parlare di questi temi a tutti i credenti , non è facile». Sui gradini dell'Arena sono moltissime le bandiere della pace come gli striscioni che chiedono il “cessate il fuoco” a Gaza e in Ucraina, tante anche le bandiere palestinesi, qualcuna anche dell'Ucraina. Uno striscione, alla sinistra del palco, “Smilitarizziamo mente e territorio”, è notato dal Papa che denuncia il business delle armi. Ci sono militanti di Pax Christi, dei Beati costruttori di pace, una delegazione dell'ANPI arrivata da Roma, la Rete per la pace e il disarmo, le mamme No-Pfas del Veneto tutte in maglietta azzurra e che si fanno sentire quando una loro rappresentante prende la parola sul palco.

L'IMPEGNO DEI MOVIMENTI

Sono cinque i tavoli di lavoro ai quali i Movimenti hanno lavorato in questi mesi per preparare l'incontro con Francesco: “Migrazioni”, “Lavoro ed economia”, “Ambiente e creato”, “Disarmo” e “Democrazie e diritti”. La prima a prendere la parola, per “Democrazie e diritti”, è l'afghana Mahbouba Seraj: «Sono venuta qui, ad Arena 2024, da Kabul in Afghanistan, e mi rivolgo a Lei insieme a Giulia Venia del gruppo di lavoro sulla democrazia . Quale tipo di leadership può portare avanti il ​​compito di creare oggi istituzioni di pace?». Francesco risponde che «se l'idea che abbiamo del leader è quella di un solitario, al di sopra di tutti gli altri, chiamato a decidere e agire per conto loro e in loro favore, allora stiamo facendo nostra una visione impoverita e impoverente, che finisce per prosciugare le energie creative di chi è leader e per rendere sterile l'insieme della comunità e della società», risponde Bergoglio, «La cultura fortemente marcata dall'individualismo rischiando sempre di far sparire la dimensione della comunità, dei legami vitali che ci sostenete e ci fanno avanzare. E questa in termini politici è la radice delle dittature. E inevitabilmente produrrà delle conseguenze anche sul modo in cui si intende l'autorità. Chi ricopre un ruolo di responsabilità in un'istituzione politica, oppure in un'impresa o in una realtà di impegno sociale, rischiando di sentirsi investito del compito di salvare gli altri come se fosse un eroe. Questo avvelena l'autorità. E questa è una delle cause della solitudine che tante persone in posizione di responsabilità confessano di sperimentare, come pure una delle ragioni per cui siamo testimoni di un crescente disimpegno».

Per il tavolo “Migrazioni” prendiamo la parola Elda Baggio di “Medici senza frontiere” insieme al brasiliano João Pedro Stédile che porta a Verona l'esperienza del Movimento dei senza terra. Entrambi chiedono al Papa come si può realizzare la prospettiva di essere dalla parte degli ultimi: «Incontrare i piccoli e condividere il loro dolore. E prendere posizione al loro fianco contro le violenze di cui sono vittime, uscendo dall'indifferenza e dalle sue giustificazioni. Ecco, questa è la conversione che cambia la nostra vita e il mondo. Una domanda: “Abbiamo pensato oggi a quanti bambini e bambini sono costretti a lavorare da schiavi per guadagnarsi da vivere?”. Tutti siamo responsabili di tutti ma poi il Premio Nobel che possiamo assegnare a tutti è quello di Ponzio Pilato, perché siamo maestri nel lavarci le mani». E denuncia: «Oggi la nostra società esclude e nasconde gli anziani».

Ligabue canta “Sono sempre i sogni a dare forma al mondo” con l'Arena che lo accompagna battendo le mani. In prima fila, il presidente del Veneto Luca Zaia e il sindaco Damiano Tommasi. Per il tavolo sull'ambiente e il creatore intervengono Annamaria Panarotto delle mamme No-Pfas di Vicenza, un gruppo di genitori che si batte contro l'inquinamento dell'acqua che causa malattie e Vanessa Nakate, attivista ugandese. Il Papa risponde invitando a curare la pace: «La pace si fa con il dialogo e con la pazienza», spiega, «se qualcuno ti insulta ti viene subito la voglia di replicare e moltiplicare l'aggressione. Dobbiamo fermare l'aggressione. Nella nostra società si respira un'aria stanca, tanti non trovano ragioni per portare avanti le loro attività quotidiane, appesantiti dalla sensazione di essere sempre fuori tempo, come intrappolati nella ripetizione di quanto si fa, poiché non si ha la forza o il tempo di mettere in discussione ritmi e modalità d'azione. Occorrerebbe a volte saper rallentare la corsa, non lasciarci travolgere dalle attività e fare spazio dentro di noi all'azione di Dio».

Per il tavolo sul disarmo intervengono Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di San'Egidio e Sergio Paronetto di Pax Christi che ringrazia, «a nome di tutti», il Papa «per il suo coraggio». Riccardi dice che la pace è diventata «quasi una parolaccia ed è bandita come un'ingenuità. Eppure, è una grande benedizione e l'alternativa c'è. Volevamo chiederle come essere in questo momento così complesso artigiani di pace e mediatori di fronte a tanti conflitti, vicini e lontani». Francesco risponde che «il primo passo da fare per vivere in modo sano tensioni e conflitti è riconoscere che fanno parte della nostra vita, sono fisiologici, quando non travalicano la soglia della violenza. Quindi non averne paura. Non temere se ci sono idee diverse che si confrontano e forse si scontrano. In queste situazioni siamo chiamati a un esercizio diverso. Lasciarci interpellare dal conflitto, lasciarci provocare dalle tensioni, per metterci in ricerca. Ricercare l'ordine delle priorità, che non significa cancellare uno dei poli, ma vederli insieme e coglierne il diverso peso. Ricercare in un conflitto le ragioni di ogni parte, quelle emergenti e, se si riesce, anche quelle tenute nascoste, quelle di cui non si è consapevoli appieno».

L'OMAGGIO A DON TONINO BELLO E L'APPELLO ALLE DONNE

Poi cita Romano Guardini, del quale è stato consegnato al Papa come omaggio il certificato di battesimo a San Niccolò all'Arena nato a Verona nel 1885: “I veri conflitti sociali, anche culturali, si risolvono con il dialogo, ma prima con il rispetto dell'identità dell'altra persona”. E il dialogo e il rispetto possono maturare quando si inizia a fare qualcosa insieme, quando si uniscono le mani prima ancora che i pensieri». Dopo il dialogo e le testimonianze di numerose donne israeliane e palestinesi in collegamento dal Medio Oriente, papa Francesco conclude l'incontro rivolgendosi proprio alle donne: «Il mondo ha bisogno di guardare a loro per trovare la pace. Le testimonianze di queste coraggiose costruttrici di ponti fra israeliani e palestinesi ce lo confermano», dice Francesco, «Sono sempre più convinto che “il futuro dell'umanità non è solo nelle mani dei grandi leader, delle grandi potenze e delle élite. È soprattutto nelle mani dei popoli; nella loro capacità di organizzarsi e anche nelle loro mani che irrigano, con umiltà e convinzione, questo processo di cambiamento”», dice citando le parole pronunciate all'Incontro mondiale dei movimenti popolari del 2015 a Santa Cruz de la Sierra. Poi Francesco si rivolge alle «tessitrici e tessitori di dialogo in Terra Santa» e gli assegna un compito preciso: «Chiedete ai leader mondiali di ascoltare la vostra voce, di coinvolgervi nei processi negoziali, perché gli accordi nascano dalla realtà e non da ideologie: le ideologie non hanno piedi per camminare, non hanno mani per curare le ferite, non hanno occhi per vedere le sofferenze dell'altro. La pace si fa con i piedi, le mani e gli occhi dei popoli coinvolti. La pace non sarà mai frutto della diffidenza, dei muri, delle armi puntate gli uni contro gli altri. Dice San Paolo: “Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato”. Non seminiamo morte, distruzione, paura. Seminiamo speranza! È quello che state facendo anche voi, in questa Arena di Pace. Non smettete. Non incoraggiatevi. Non diventate spettatori della guerra cosiddetta “inevitabile”. Come diceva il vescovo Tonino Bello: “In piedi costruttori di pace!”».





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