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Il Papa a sacerdoti e consacrati: ‘Ci serve audacia nella missione, per rispondere a chi fa fatica’



Pubblichiamo integralmente il discorso pronunciato a Verona la mattina del 18 maggio da papa Francesco durante l'incontro con i sacerdoti ei religiosi

Cari sacerdoti, care religiose e cari religiosi, buongiorno! Vi ringrazio di essere qui. Ringrazio il Vescovo per l'accoglienza e per tutto il lavoro che porta avanti insieme a voi. È bello trovarci in questa Basilica romanica, una tra le più belle d'Italia, che ha ispirato anche poeti come Dante e Carducci. Ed essere qui insieme, vescovo, preti, religiose e religiosi, e guardare questo splendido soffitto a carena ci fa sentire come dentro a una grande barca, e ci fa pensare al mistero della Chiesala barca del Signore che naviga nel mare della storia per portare a tutti la gioia del Vangelo.

Questa immagine evangelica ci ricorda almeno due cose sulle quali vorrei soffermarmi con voi: la prima è la chiamata, la chiamata ricevuta e sempre da accogliere; e la seconda è la missione, da compiere con audacia. Anzitutto, accogliete la chiamata ricevuta. All'inizio del suo ministero in Galilea, Gesù passa lungo la riva del lago e posa il suo sguardo su una barca e su due coppie di fratelli pescatori, i primi che gettano le reti e gli altri che le rassettano. Si avvicina e li chiama a seguirlo (cfr Mt 4,18-22; Mc 1,16-20). Non dimentichiamo questo: all'origine della vita cristiana c'è l'esperienza dell'incontro con il Signore, che non dipende dai nostri meriti o dal nostro impegno, ma dall'amore con cui Lui ci viene a cercare, bussando alla porta del il nostro cuore e invitandoci a una relazione con Lui. Ancora di più, all'origine della vita sacerdotale e della vita consacrata non ci siamo noi, i nostri doni o qualche merito speciale, ma c'è la chiamata sorprendente del Signore, il suo sguardo misericordioso che si è chinato su di noi e ci ha scelto per questo ministero, benché non siamo migliori degli altri. È pura grazia, pura gratuità, un dono inatteso che apre il nostro cuore allo stupore davanti alla condiscendenza di Dio. Cari fratelli sacerdoti, care sorelle e fratelli religiosi: cerchiamo di non perdere mai lo stupore della chiamata! Esso si alimenta con la memoria del dono ricevuto per grazia, memoria da tenere sempre viva in noi. Questo è il primo fondamento della nostra consacrazione e del nostro ministero: accogliere la chiamata ricevuta, accogliere il dono con cui Dio ci ha sorpresi. Se smarriamo questa coscienza e questa memoria, rischiamo di mettere al centro noi stessi invece che il Signore; rischiamo di agitarci attorno a progetti e attività che servono più alle nostre cause che a quella del Regno; rischiamo di vivere anche l'apostolato nella logica della promozione di noi stessi e della ricerca del consenso, invece che spendere la vita per il Vangelo e per un servizio gratuito alla Chiesa.

È Lui che ha scelto noi (cfr Gv 15,16): se ricordiamo questo, anche quando avvertiamo il peso della stanchezza e di qualche delusione, rimaniamo sereni e fiduciosi, certi che Lui non ci lascerà a mani vuote. Come i pescatori, allenati alla pazienza, anche noi, in mezzo alle sfide complesse del nostro tempo, siamo chiamati a coltivare l'atteggiamento interiore dell'attesa, della pazienza, così come la capacità di affrontare gli imprevisti, i cambiamenti, i rischi connessi alla nostra missione. Ma possiamo farlo perché all'origine del nostro ministero c'è la sua chiamata, e Lui non ci lascerà soli. Possiamo gettare la rete e attendere con fiducia. Questo ci salva, anche nei momenti più difficili; perciò ricordiamoci della chiamata, accogliamola ogni giorno, e restiamo con il Signore. Quando è ben radicata in noi questa esperienza, allora possiamo essere audaci nella missione da compiere. E penso ancora al mare di Galilea, stavolta dopo la risurrezione di Gesù. Egli, sulla riva di quello stesso lago, incontra nuovamente i discepoli e li trova delusi, amareggiati da un senso di sconfitta, perché erano usciti a pescare “ma quella notte non avevano preso nulla” (cfr Gv 21,3). Allora li scuote dalla rassegnazione, li sprona a ritentare, a gettare ancora la rete; ed essi «la gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci» (v. 6).

L'audacia è un dono che questa Chiesa conosce bene. Se c'è infatti una caratteristica dei preti e dei religiosi veronesi, è proprio quella di essere intraprendenti, creativi, capaci di incarnare la profezia del Vangelo. Si tratta di una intraprendenza che ha segnato la vostra storia: basti pensare all'impronta lasciata da tanti sacerdoti, religiosi e laici nell'Ottocento, che oggi possiamo venerare come Santi e Beati. Testimoni della fede che hanno saputo unire l'annuncio della Parola con il servizio generoso e compassionevole dei bisognosi, con una “creatività sociale” che ha portato alla nascita di scuole di formazione, di ospedali, case di cura, case di accoglienza e luoghi di spiritualità. Molti di questi Santi e Sante erano tra loro contemporanei e, immersi nella storia turbolenta del loro tempo, attraverso la fantasia della carità animata dallo Spirito Santo, riuscirono a creare una specie di “santa fratellanza”, capace di andare incontro ai bisogni dei più emarginati. e dei più poveri e di prendersi cura delle loro ferite. Una fede che si è tradotta nell'audacia della missione. Ci serve questo anche oggi: l'audacia della testimonianza e dell'annuncio, la gioia di una fede operosa nella carità, l'intraprendenza di una Chiesa che sa cogliere i segni del nostro tempo e rispondere alle necessità di chi fa più fatica.

A tutti, lo ripeto, a tutti dobbiamo portare la carezza della misericordia di Dio. Specialmente a chi ha sete di speranza, a chi si trova costretto a vivere ai margini, dalla ferito vita, o da qualche errore commesso, o dalle ingiustizie della società, che vanno sempre a scapito dei più fragili. L'audacia di una fede operosa nella carità, voi l'avete ereditata dalla vostra storia. E allora vorrei dirvi con San Paolo: «Non lasciatevi incoraggiare nel fare il bene» (2 Ts 3,13). Non cedete allo scoraggiamento: siate audaci nella missione, sappiate ancora oggi essere una Chiesa che si fa prossima, che si avvicina ai crocicchi delle strade, che cura le ferite, che testimonia la misericordia di Dio. È in questo modo che la barca del Signore, in mezzo alle tempeste del mondo, può portare in salvo tanti che altrimenti rischiano di naufragare. Le tempeste, come sappiamo, non mancano ai nostri giorni; molte di esse hanno la loro radice nell'avarizia, nella cupidigia, nella ricerca sfrenata di soddisfare il proprio io, e si alimentano in una cultura individualista, indifferente e violenta. Sono tanto attuali, in questo senso, le parole di San Zeno, che afferma: «Non è una colpa isolata – fratelli carissimi – lasciarsi avvincere dai ceppi della cupidigia. […] Ma siccome tutto il mondo è stato arso dall'incendio di questa peste inestinguibile, l'avarizia, a quanto si crede, ha cessato di essere una colpa, perché non ha lasciato nessuno muoverle rimprovero. Tutti si gettano a capofitto in turpi guadagni e non si è trovato nessuno che le imponga il morso della giustizia. […] Perciò capita che tutte le nazioni cadano istante per istante in seguito alle reciproche ferite» (Discorso 5 [I, 9], Sull'avarizia). Il rischio è questo, anche per noi: che il male diventi “normale”, che ci facciamo l'abitudine. E così diventiamo complici! Invece, parlando ai veronesi, San Zeno dice: «Le vostre case sono aperte a tutti i viandanti, sotto di voi nessuno né vivo né morto fu visto a lungo ignudo. Ormai i nostri poveri ignorano cosa sia mendicare cibo» (Discorso 14 [I, 10], Sull'avarizia). Possano queste parole essere vere per voi oggi! Fratelli e sorelle, grazie! Grazie per aver donato al Signore la vostra vita e per il vostro impegno nell'apostolato. Andate avanti con coraggio. Meglio: andiamo avanti con coraggio! Abbiamo la grazia e la gioia di stare insieme sulla nave della Chiesa, tra orizzonti meravigliosi e tempeste allarmanti, ma senza paura, perché il Signore è sempre con noi, ed è Lui ad avere il timone, a guidarci, a sostenerci.

A noi il compito di accogliere la chiamata e di essere audaci nella missione. Come diceva un vostro grande santo, Daniele Comboni: «Santi e capaci. […] L'uno senza dell'altro val poco per chi batte la carriera apostolica. Il missionario e la missionaria non possono andar soli in paradiso. Soli andranno all'inferno. Il missionario e la missionaria devono andare in paradiso accompagnati dalle anime salvate. Dunque, primo: santi, […] ma non basta: ci vuole carità» (Scritti, 6655). Questo auguro a voi e alle vostre comunità: una “santità capace”, una fede viva che con carità audace semi il Regno di Dio in ogni situazione della vita quotidiana. E se il genio di Shakespeare si è fatto ispirare dalla bellezza di questo luogo per raccontarci le vicende tormentate di due innamorati, ostacolati dall'odio delle rispettive famiglie, noi cristiani, ispirati dal Vangelo, impegniamoci a seminare ovunque un amore più forte dell'odio e della morte. Sognatela così, Verona, come la città dell'amore. E che l'amore di Dio vi accompagna e vi benedica. Grazie!





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