Cannes, Roberto Minervini vince per la migliore regia nella sezione Un Certain Regard
Io dannati di Roberto Minervini è uscito qualche giorno fa in coincidenza con la presentazione a Cannes, distribuito da Lucky Red. Non sta andando benissimo in sala, ma il riscontro di critica sulla Croisette, dove è passato nella sezione “Un certain aware”, è stato ottimo. E ora è arrivato anche il verdetto della giuria di quella specifica sezione, che gli assegna il premio alla miglior regia (ex aequo con Rungano Nyoni per Diventare una faraona).
Minervini a Cannes con 'I dannati': “L'America di oggi è ancora lacerata. Mi preoccupa il ritorno di una cultura oppressiva”
dalla nostra inviata Arianna Finos
Bella soddisfazione per un cineasta originale e fuori da ogni schema, un italiano che vive da tempo in America e che in quel paese ha realizzato documentari notevolissimi quali Louisiana: l'altra faccia (2015) e Che fare quando il mondo è in fiamme? (2018). I dannati è il suo primo film “di finzione”, chiamiamolo così: ma nonostante l'appartenenza al genere più classico del cinema – il western – è assolutamente coerente ai precedenti lavori di Minervini e al suo amore per quello che oggi si definisce “cinema” del reale”. Proviamo a spiegarci.
Una didascalia iniziale ci informa che siamo nel 1862: mentre a Est infuria la guerra civile, un gruppo di soldati appartenenti all'esercito nordista viene spedito a pattugliare un punto imprecisato della frontiera. È un momento storico in cui gli Stati Uniti si fermano sostanzialmente al Mississippi, al di là ci sono le praterie, le montagne, gli indiani, i bisonti. Nulla di ciò che accade normalmente nei occidentali accadrà in I dannati. Sì, ci sarà una battaglia, ma né noi né i soldati capiremo contro chi si sta combattendo: il nemico è invisibile e l'unica cosa tremendamente concreta sono i suoi spari. Seguiamo invece la vita quotidiana dei soldati: come viaggiano, come si preparano la cena, come montano il campo quando è ora di pernottare, come si orientano in un paesaggio sconfinato, come curano le armi (che sono rigorosamente d'epoca, grazie a un lavoro filologico accurato).
È come se Minervini cisse sulla frontiera di metà '800 e girasse un documentario su un gruppo di cavalleggeri pezzenti spediti allo sprofondo, che non hanno la minima idea di dove si trovano e di che cosa deveno fare. Le facce (di non-attori) sono scelte con la stessa cura con cui il regista ha scelto i protagonisti dei suoi documentari: sono bianchi proletari, parlano un inglese aspro e spesso incomprensibile, sono uomini soli ai margini dell'American Dream.
Io dannati è un film breve, impervio, non facile, tutt'altro che “popolare”. Ma è un film che non assomiglia a nient'altro, soprattutto non assomiglia ai western con John Wayne. Speriamo che il premio a Cannes lo aiuti a trovare un suo pubblico.