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Robert De Niro: «Chi ha il potere deve dare l’esempio. Trump invece…»



A Cannes, in un pomeriggio assolato sulla Croisette, entra nella stanza d'albergo col sorriso delle grandi occasioni. Con lui c'è la compagna Tiffany Chen. È allegro. Giacca grigia, polo tendente al beige, a settantanove anni si comporta con la naturalezza di chi sa di essere una leggenda. Robert De Niro è stato tra i protagonisti del Festival. Insieme a Leonardo DiCaprio, è il mattatore di uno dei titoli più attesi dell'anno: Gli assassini della luna dei fiori di Martin Scorsese, presentatore fuori concorso. Tiffany Chen gli fa una carezza gentile, lo accompagna verso la sedia dove lui si accomoda con calma, e si versa un po' d'acqua in un bicchiere. Nel film presta il volto a un diavolo. Siamo nei primi anni Venti, e William Hale spadroneggia sulla Nazione Indiana degli Osage, nativi diventati improvvisamente ricchi col petrolio. Il nipote Ernest Burkhart, interpretato da DiCaprio, è un reduce di guerra e si mette al suo servizio. Intanto una serie di efferati omicidi sconvolge la comunità.

Gli assassini della luna dei fiori è un film lacerante, su una ferita mai sanata. È un'epopea che cerca la redenzione, accarezza l'amore, si immerge nel tradimento e sviscera una natura umana caratterizzata dall'avidità. È una confessione, un'ammissione dei propri errori. Si tratta di un'altra perla del cinema di Scorsese. Nel cast spiccano anche Jesse Plemons e la bravissima Lily Gladstone. «Non capisco come il mio personaggio possa comportarsi in questo modo. È un punto di riferimento per tutti, le persone lo amano. Lui manipola i loro sentimenti, si nutre del loro affetto per raggiungere i suoi scopi. Controlla la situazione, e pensa di avere il diritto di poter fare quello che vuole. Usa la gratitudine degli altri per approfittarsi di loro, è diabolico. Mi ricorda qualcuno che per qualche tempo è stato alla Casa Bianca», spiega De Niro con aria sorniona.

Stai pensando a Donald Trump? «Assolutamente. All'inizio non ci siamo resi conto di quanto potesse far male al nostro Paese. C'era chi aveva intuito qualcosa, ma nessuno poteva immaginare che fosse così genuinamente stupido, sociopatico. È stata una follia che bisognava prevedere, senza sorprendersi dopo dei risultati. Ma era tutto alla luce del sole, come poi hanno raccontato molti libri».

Trump tornerà nello Studio ovale?

«No, è finita. Voglio credere che siamo in grado di imparare dai nostri errori. La storia ha mostrato massacri terribili. Noi siamo una Repubblica giovane, forgiata da chi ha abbandonato l'Europa secoli fa. Perciò possiamo essere ingenui, nonostante i genocidi in giro per il mondo, il fascismo, i problemi interni. Mi ricordo di quando ero piccolo, era appena finita la Seconda guerra mondiale, gli echi che arrivavano a casa. La speranza sarebbe di essere abbastanza maturi da non cadere negli stessi errori. Ma, come vediamo, resta una speranza».

Il razzismo non si è mai purtroppo sopito.

«Trump è stata solo la punta dell'iceberg. E certi personaggi fomentano pericolosi ritorni. Nel momento in cui un malato di mente è il leader della nazione, tutto può succedere. Chi governa deve dare l'esempio, promuovere la pace, condannare ogni forma di violenza, invitare al dialogo, soprattutto perché questa è una democrazia, non una dittatura. La follia genera altra follia, e conduce all'oscurità. L'onda razzista negli Stati Uniti è in crescita, la tragedia di George Floyd nel 2020 è solo l'ultima di una lunghissima serie che si dovrebbe fermare. È necessario analizzare il passato per preservare il presente, e assumere le nostre colpe, chiedendo perdono. Non so se basta fare un film per stringere di nuovo la mano a popolazioni che sono state oppresse. Ma è un punto di partenza. Gli Stati Uniti sono territori sterminati, formati da cultura che faticano a convivere, non è semplice creare un pensiero comune. L'obiettivo deve essere dettare una linea positiva, determinata dal rispetto, e percorrerla senza indugi. La paura è la prima delle nemiche, serve coraggio per andare avanti insieme. La chiave è la consapevolezza».





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