Economia Finanza

Macron, un presidente contro tutti: “Anche se perdo, non lascio”




Eccolo, Emmanuel Macron. Stella della comunicazione, dell'effetto sorpresa. Non sembra più lui. O forse è semplicemente la società francese a essere maturata dopo sette anni di cambi di governo e oscillazioni fra destra e sinistra, e lui non riesce più a capirla né sa più come prenderla, figurarsi conquistarne la fiducia dicendo che Éric Ciotti (il neogollista che ha stretto un accordo con i lepenisti in vista del voto) «ha fatto un patto col diavolo voltando le spalle in poche ore all'eredità del generale De Gaulle, di Chirac e Sarkozy».

Conferenza stampa rimandata di 24 ore, l'attesa era perciò totale, ieri, al Pavillon Cambon Capucines di Parigi. Cosa si inventerà il presidente? E invece? Solo, sul palco; il suo primo ministro Attal silenziato da giorni è in platea, con i ministri a fare da spettatori non paganti. E i giornalisti, rimasti orfani di quella verve che aveva conquistato la maggioranza dei francesi e buona parte della stampa, a prendere appunti su cose a detta sua da fare (ma non fatte dallo stesso Macron dopo 12 mesi di annunci continui), lì ad assistere all'impasse: dialogo, propone. Ma solo fra partiti del cosiddetto arco repubblicano. Poi l'avvio di «un grande dibattito sulla laicità», un valore che «a volte sembra non ben applicato», ammette. La scuola è infatti sempre più permeata dall'islam politico. E Attal aveva promesso tolleranza zero a novembre.

Immigrazione illegale da ridurre, sicurezza, lavoro, potere d'acquisto. Macron cita tutti i cavalli di battaglia di Le Pen, negandole però il confronto tv (copiando Chiarca del '92). Spiega di voler «ristabilire l'autorità repubblicana su tutti i piani», ma boccia «il progetto del Rn che non permetterà di rispondere all'insicurezza». Tutti sono però consapevoli che, dalla crisi delle banlieues di un anno fa, è il suo pianoforte periferie a non aver funzionato. È un cantiere. Cresce la delinquenza nelle città e sempre più ragazzini vengono attirati dalle sirene della criminalità. E dunque, presidente? Gli chiediamo. Macron propone (di nuovo) il divieto di usare il cellulare prima degli 11 anni, ei social network prima dei 15; è la maggiore età digitale lanciata senza seguito mesi fa. Pene più severo per chi delinque. Poi l'annuncio di pensioni da aggiornare all'annuncio e intanto rivendica più di 2 milioni di imprese create grazie al piano green.

Non si capisce se si tratti di un comizio o di un Sos, di una dichiarazione d'intenti o di un rimprovero ai suoi, come quando dichiara che «serve una rivoluzione copernicana nell'azione». Era lui l'uomo della rivoluzione, come intitolò la biografia-programma del 2016. E oggi, dopo 7 anni, sostiene che bisogna reindustrializzare il Paese, che vorrebbe 8 nuovi reattori nucleari (per attenuare le bollette) e rafforzare la sovranità agricola. Macron devia, schiva l'analisi della sconfitta. Conferma che non darà le dimissioni in caso di disfatta il 30 giugno e il 7 luglio: «Voce senza fondamento». Dopo il rinnovo dell'Assemblea, si dice pronto a «integrare» le visioni di socialdemocratici, neogollisti e verdi ipotizzando una «federazione di progetti per governare». Gli eventi trascinano però i francesi in un'altra direzione. Soprattutto, non avendo Macron ottenuto la maggioranza assoluta alle scorse elezioni, gli era già stato imposto un allargamento del suo centro liberale: riuscendoci solo in parte, e quand'era in difficoltà ha operato d'imperio come per la riforma delle pensioni. Adesso? Fermare. Questo è arrivato dalle Europee. Si torna al voto per sua volontà: la parola al popolo è «un atto di fiducia». L'insussistenza di buona parte della sua azione – molto concentrata sui dossier esteri, se non deviata ad arte – ha già provocato una reazione dal basso. E ieri è successo qualcosa di inedito: Macron è parso un leader incompreso, a tratti incomprensibile, che dopo il terremoto politico riunione nella stessa sala (per un'ora e mezza) la sua cerchia ei media per denunciare «alleanze contro natura», due blocchi che condurrebbero a «un impoverimento del Paese», «alleanze indecenti».

Stanno «cadendo le maschere», attacca. E dopo le accuse di antisemitismo e antiparlamentarismo alla France Insoumise, «la smetta di dare lezioni al mondo intero», gli risponde la deputata uscente mélenchoniana Daniéle Obono. Lei lo dice, molti lo pensano.



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