L'intesa si fa in due e con un mediatore. Dal Vietnam in poi, la storia lo insegna
La pace si fa in due. E non tra Paesi reciprocamente in pace, ma tra nemici. Questi due teoremi bastano a far capire perché il «summit di pace» sull'Ucraina, apertosi ieri nel resort svizzero di Burgenstock sul lago di Lucerna, sia destinato a rivelarsi un'inutile esibizione di buoni intenti. O, meglio, una farsa negoziale inficiata dal mancato invito della Russia.
Una vera trattativa richiede altre regole. E, soprattutto, la presenza di tutte le parti in conflitto. Per capirlo basta riguardare il canovaccio dei negoziati che risolsero tre dei più importanti conflitti degli ultimi sessanta anni. Gli accordi di Parigi, decisivi per il ritiro americano dal Vietnam, ebbero come principali interlocutori Henry Kissinger, prima Consigliere per la sicurezza nazionale e poi Segretario di stato dell'amministrazione Nixon, e Le Duc Tho rappresentante dell'Ufficio Politico del partito comunista del Nord Vietnam. La potenza americana scende in campo per fermare l'avanzata del comunismo nel sud est asiatico finì insomma con il trattare con il suo principale nemico. E quando a Ginevra, nella seconda metà degli anni 80, s'inizio a discutere il ritiro sovietico dall'Afghanistan non andò molto diversamente. A negoziare c'erano il Pakistan in rappresentanza dei mujaheddin afghani e il governo comunista di Kabul appoggiato, armato e finanziato dall'Unione Sovietica. Lo stesso dicasi per gli accordi di Dayton che nel 1995 misero fine al sanguinoso conflitto in Bosnia. Attorno al tavolo, allestito nella base aerea statunitense di Patterson nell'Ohio, sedevano il presidente serbo Slobodan Milosevic, quello croato Franjo Tudjamn e Alija Izetbebovic presidente dei musulmani bosniaci.
Insomma il trio che fino al giorno prima aveva ordito e coperto reciproci massacri fu costretto a interloquire sotto la guida del negoziatore americano Richard Holbrooke e di emissari europei e russi. Quei tre esempi fanno capire che nessun accordo di pace può nascere dalle proposte di una parte sola (in Svizzera si discutono esclusivamente le proposte ucraina) ma solo dal progressivo avanzato delle proposte avanzate dai contendenti. Ma per avvicinare le posizioni dei contendenti è indispensabile anche un mediatore accettato da entrambe le parti.
Una figura, per dirne una, come il presidente turco Recep Tayyp Erdogan capace, da sempre, d'interloquire sia con Vladimir Putin sia con Volodymyr Zelenskyj. Ma anche questo elemento è totalmente assente nel dibattito apertosi in quel di Burgenstock. Che proprio per questo è destinato a produrre fiumi di parole e nessun fatto.