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Santi Pietro e Paolo, le rocce della prima Chiesa


Di Simone (poi ribattezzato Pietro da Gesù stesso) i Vangeli, solitamente molto parchi nelle caratterizzazioni psicologiche, ci offrono un ritratto vivido. E' irruento, sanguigno: parla e agisce d'impulso, al punto da meritarsi i rimproveri del Maestro. Ma è anche colui che, ispirato dallo Spirito Santo, intuisce prima degli altri la natura divina di Gesù: «Io credo Signore che tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente». Da qui la chiamata a una particolarissima missione, quella di guida e sostegno della comunità. «E io ti dico che sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell'inferno non prevarranno contro di essa. Ti darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». E' questo stesso primato che la Chiesa cattolica riconosce nel Papa, i cui simboli, le chiavi e l'anello del pescatore, rimandano immediatamente alla figura dell'apostolo.

Umanissimo nella sua fragilità, Pietro è, come gli altri discepoli, smarrito nel momento terribile della condanna e dell'agonia di Gesù. Ma più degli altri porta addosso un peso. «Non conosco quell'uomo»: con queste parole per tre volte rinnega Cristo, abbandonandolo di fatto al suo destino. Eppure, paradossalmente, proprio questo episodio gli consente di sperimentare, forse più di chiunque altro, l'abbraccio della misericordia. «Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?», gli domanda per tre volte il Risorto, rinnovando poi subito la chiamata a guidare il gregge dei fedeli «Pasci le mie pecorelle». Una chiamata cui, dopo la Pentecoste, l'apostolo consacra la vita, diventando un riferimento per i Cristiani a Gerusalemme, in Palestina, ad Antiochia, e operando miracoli nel nome di Gesù. Fin qui le fonti bibliche: il resto è tradizione. Varie testimonianze raccontano di un trasferimento a Roma. Nel cuore dell'impero il discepolo vive per alcuni anni, predica e coordina la comunità. Muore martire sotto Nerone, probabilmente intorno al 67 dC

Carlo Crivelli, Santi Pietro e Paolo, 87×44 cm, Londra, National Gallery

Paolo, persecutore dei cristiani ad apostolo

Molto diversa è la vicenda umana e spirituale di Paolo di Tarso, che, a differenza di Pietro, non ha modo di incontrare lo storico Gesù lungo le strade della Palestina. Lo incontra invece in modo misterioso, dopo anni di feroci persecuzioni contro la Chiesa. Per una parte della sua vita Saulo (questo il suo nome prima della conversione) è un uomo inflessibile, spietato, e colpisce i cristiani con una determinazione che sembra sconfinare nel fanatismo. Poi, improvvisamente, accade qualcosa. «Tutta la vita dell'Apostolo è segnata da quell'evento – leggiamo nel libro Le confessioni di Paolotratto da un corso di esercizi spirituali che il cardinale Carlo Maria Martini tenne nel 1981 – È difficile per noi capirlo, perché, in realtà, Paolo stesso comprende solo al momento della morte che cosa abbia significato per lui quell'episodio». E' la cosiddetta folgorazione sulla via di Damasco. E' quell'”incidente di percorso” che lo costringe a un cambio di prospettiva. E ad incamminarsi verso una vita nuova: inizia così il suo apostolato. Paolo comprende che il messaggio evangelico non può limitarsi alle comunità giudaiche, ma ha una dimensione universale. Con lui la Chiesa si scopre a tutti gli effetti missionari, aperti ai “gentili”, ai pagani, ai lontani. Uomo caparbio, infaticabile, di grande cultura, eccellente oratore, Paolo abbandona le sue sicurezze per mettersi costantemente in gioco, spinto da un'unica certezza: «per me vivere è Cristo», come scrive lui stesso nella Lettera ai Filippesi. I suoi viaggi lo portano dall'Arabia alla Grecia, dalla Turchia all'Italia. A Roma viene arrestato, ma per un certo tempo riesce, pur tra mille difficoltà, a predicare. Come Pietro muore martire, probabilmente intorno al 67 d.C. Le sue 13 lettere, inserite nel canone del Nuovo Testamento, sono un pilastro dottrinale del cristianesimo e un riferimento imprescindibile per i fedeli di tutte le epoche storiche e di tutti i continenti.

I due apostoli simbolo della Chiesa plurale

«A Roma Pietro ritrova Paolo – scrive Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose, commentando il Vangelo del 29 giugno – Non sappiamo se nel quotidiano della testimonianza cristiana, ma certamente nel segno grande del martirio. Paolo, “l'altro”, l'apostolo differente, posto accanto a Pietro nella sua alterità, quasi a garantire fin dai primi passi che la Chiesa cristiana è sempre plurale e si nutre di diversità».





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