Music

John Cale – POPtical Illusion


Per i più distratti e poco interessati all'approfondimento, questo è il secondo album in due anni dell'ultra ottantenne ex Vellutoche sic et semplifiquement potrebbe essere considerato un legittimo e comprensibile sintomo di incontinenza produttiva, al sottilizzarsi dello spettro rimasto di vita: “POPtical Illusion” invece non è altro che un ulteriore capitolo di una ribollente attività creativa che coglie Giovanni Cale in un momento prolifico e disinvolto, lontanamente assuefatto da paure o angosce esistenziali, ma all'interno di un percorso condivisibile di proseguimento in territori più comunemente definibili come la musica pop all'interno delle architetture elettroniche.

Credito: Madeline McManus

Se in “Mercy” l'elemento sorpresa era riferito all'ambientazione cupa e alterata, figlio di una vita passata a seguire un'avanguardia personale, in questa nuova produzione, le canzoni sono tutte più abbordabili, l'elettronica di riferimento è una moderna forma di sostegno in chiave pop, con molteplici connotazioni, col richiamo a diverse cose già sentite nel passato, ma uniformemente coesa con la voce così identificabile del leader, con il solito effetto raddoppiato e distaccato; in questo album, Cale Sembra voler affrontare temi come speranza e illusioni, si parla di come vedere la luce nel bel primo singolo estratto (“How we see the light”), ed in generale lo sguardo è rivolto verso il futuro, in una visione certamente di riflessione e interrogazione, ma in una versione né pesante né troppo angosciata dal presente: sembra anzi che si voglia trasmettere nuove linee romantiche, i contorni della bellezza della creazione del sentimento, l'abile svisceramento degli elementi nascosti fra gli attimi di una conoscenza e di quanto questi momenti inafferrabili influenzano i nostri comportamenti quotidiani, in un rimando suggestivo ad un sentimento struggente che a tratti ricorda i brividi dei IL Nilo blu.

Pur considerevole nella quantità di canzoni, ben 13, “POPtical Illusion”, al netto di un paio di episodi in meno che avrebbero accresciuto la sua compattezza, si fa apprezzare per l'elevata cura che in studio Cale è riversato nella produzione, con un mood quasi sempre da ballata elettronicatranne qualche raro momento più mosso, tipo il post punk “Shark-Shark” dove riappaiono l'intro e le cariche di un passato rock'n'roll più evidentemente sopito.



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