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Il vescovo Zuppi: “Michela Murgia mi insegnò la parola queer. Comunità Lgbt? Nella chiesa ci devono stare tutti”


GIFFONI VALLE PIANA Come conciliare il cattolicesimo e il mondo queer della comunità Lgbt? Al Giffoni Film Festival il cardinale Matteo Maria Zuppi, vescovo di Bologna e presidente della Comunità Episcopale Italiana, non si tira indietro e risponde alle domande sui temi più rilevanti per i ragazzi. “Con tanta insistenza a Lisbona per la Giornata Mondiale della Gioventù – dice – papa Francesco ha dichiarato e ha sottolineato che nella Chiesa ci devono stare tutti. Tutti, a prescindere da qualunque consonante o vocale. Questo è importantissimo: dobbiamo imparare a stare insieme, a prescindere da qualunque etichetta o definizione e lo impariamo stando dentro e non fuori”.

“E poi, bisogna capire cosa significa 'queer' a mio parere. A me lo spiegò – ricorda – una persona il cui nome era Michela ed il cognome era Murgia. Mi raccontava dei figli che aveva, con cui non aveva un legame di sangue . Si sposò con un uomo perché gli voleva bene e perché potesse continuare ad avere quel legame con questi figli. Credo che questo dobbiamo imparare a farlo tutti, che può esistere un legame senza che necessariamente ci sia un risvolto giuridico. È sul senso di comunità, sulla capacità di stare insieme e sulle difficoltà di metterle in pratica nel mondo di oggi, che Zuppi centra il suo incontro con i ragazzi del Festival di Giffoni. “C'è bisogno di credere? No. C'è tanta gente che dà forme di altruismo e attenzione al prossimo, forme di generosità, senza credere – ma aggiunge anche -. Aiuta credere? S^. Ti aiuta a non usare gli altri , a volergli bene per davvero, ma le religioni non hanno l'esclusiva del voler bene”. E afferma: “L'individualismo è una malattia pericolosissima, che ci fa vivere da isole. Noi non siamo fatti per essere isole, non ci fa essere contenti. Noi siamo contenti quando vogliamo bene”.

“Purtroppo non è una storia inventata ma è una storia verissima, credo che ci siano tanti ragazzi con i pantaloni rosa che spesso non raccontano niente a nessuno e si portano dentro però tante ferite, tante reazioni, tante depressione e tanta rabbia. Perché poi per assurdo in certi casi succede anche il contrario: il bullismo produce altro bullismo, oltre che tanta sofferenza alle vittime” dice il cardinale rispondendo a una domanda sul film “Il ragazzo dai pantaloni rosa” con Claudia Pandolfi ispirato alla tragedia del quindicenne Andrea Spezzacatena che, vittima di bullismo e cyberbullismo, nel 2012 si tolse la vita.

Come si deve fare? “Intanto – dice Zuppi – è importante la scelta di rappresentarlo, di capirlo, di rendersene conto. Qualche volta la vita sembra un film, uno fa delle cose e pensa che si aggiusti tutto e poi ci si accorge che non si aggiusta niente. Quindi se il film ci fa scoprire che è vita vera, aiuta parecchio a capire le conseguenze delle nostre scelte, a imparare a stare assieme, a rispettare l'altro ea combattere sempre la violenza ea non rendersi conto della violenza. Violenza che comincia dalle comunicazioni digitali offensive, anche se spesso facciamo fatica a distinguere il confine tra il reale dal virtuale”.



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