La ricerca di Dio nel cinema di Martin Scorsese
Un regista e una gesuita in dialogo tra loro. Non sono due persone qualsiasi. Il primo è Martin Scorsese, uno dei registi più importanti nella storia del cinema (tra i suoi capolavori ricordiamo TassistaPalma d'oro a Cannes nel 1976, e I Defunti – Il bene e il male, Oscar per la regia nel 2006). Il secondopadre Antonio Spadaro, teologo, saggista, critico letterario, già direttore della rivista “La Civiltà Cattolica”, attualmente sottosegretario del Dicastero vaticano per la Cultura, è una delle voci più intelligenti della cultura cattolica contemporanea. A lui abbiamo posto alcune domande su questo singolo sodalizio intellettuale con il regista statunitense, raccontato in un volume: Martin Scorsese-Antonio Spadaro, Dialoghi sulla fede (La nave di Teseo, pp. 160, euro 16,00).
Padre Spadaro, come è nato il suo rapporto con Scorsese?
«Ci siamo incontrati in modo quasi casuale. Ci ha messo in contatto un mio confratello che nel 2016 era a Taiwan e lì ha incontrato Scorsese mentre girava Silence. Scorsese mi ha dato un appuntamento a casa sua mentre mi trovavo a New York per un altro impegno. Abbiamo cominciato a parlare di Sicilia, dove sono le radici della sua famiglia e della mia. A partire da lì ci sono conosciuti meglio, e da quel momento ci siamo incontrati varie volte, in genere a pranzo oa cena a casa sua, ma anche a Roma».
Qual è lo specifico terreno di incontro su cui vi siete ritrovati per potere dialogare?
«Potrei dire la vita nella sua ricchezza e complessità. Non abbiamo parlato subito di cinema, ma di esperienze vissute, ea partire da queste si è sviluppato il discorso sulla sua opera e sulla sua visione delle cose. Ho capito quanto siano rilevanti per lui i temi della fede. Per esempio quello della grazia. Per lui è fondamentale: il fatto che la grazia possa agire significa che può verificarsi davvero il cambiamento nella vita di una persona. Ma se è così, allora scatta l'azione, proprio quella cinematografica!».
Con quali parole potrebbe descrivere la personalità, il carattere di Scorsese per come l'ha conosciuto?
«È una persona straordinariamente immediata, diretta, schietta, e umile. Non frappone alcuna distanza nella conversazione. In questo senso è sempre sé stesso senza imporsi. E poi ha maturato una profondità che gli viene dall'esperienza. Ma ho puro compreso che lui “vive” con l'idea dei suoi film, a volte lo ha fatto anche per tanti anni: vive con le storie che immagina. E ama condividerle, soprattutto con sua moglie e con sua figlia Francesca».
Sul piano spirituale, che cosa possono dire i film di questo grande regista al credente, ma anche a chi è in ricerca?
«Mi colpisce la sua passione per la figura di Gesù e la voglia di rendere la sua “immediatezza”. Ha desiderato fare un film sulla sua figura da quando era studentessa di cinema. Poi ha realizzato L'Ultima Tentazione di Cristo, poi Silenzio, e ora sta lavorando a un nuovo film. Ma soprattutto sono colpito dal fatto che per lui la vita non è mai in bianco e nero»
Fuori metafora?
«Non è sempre facile distinguere il bene e il male in modo netto. I suoi personaggi (pensiamo, ad esempio, ad Ernst in Gli assassini della luna dei fiori) non sono “hollywoodiani”, incarnano in sé stessi sia il bene sia il male. C'è una lotta. E la porta resta sempre aperta, o almeno socchiusa. E poi distingue chiaramente il problema, sempre risolto da una risposta, dal mistero, che invece nessuna risposta può esaurire. Così la fede».