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La strage di Bologna, che cosa sappiamo, che cosa resta da scoprire. Perché è una memoria senza pace



Erano le 10.25 del 2 agosto, un sabato da esodo estivo, quando un ordigno ad altissimo potenziale esplose nella sala d’attesa di seconda classe della stazione ferroviaria di Bologna, facendo implodere su se stessa la struttura sovrastante la sala e trenta metri di pensilina, danneggiando anche due vetture di un treno in sosta sui binari: una strage che costò la vita a 85 persone e la complicò ad altre 200 che rimasero ferite. Un’enormità che fece dire all’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini, arrivato quello stesso pomeriggio nella città mobilitata nel soccorso: «Siamo di fronte alla impresa più criminale che sia avvenuta in Italia, al più grave attentato dell’Italia repubblicana».


IL COMPLESSO PROCESSO PRINCIPALE

Il complesso iter giudiziario relativo alla vicenda conta al momento cinque processi. Il ramo principale ha un andamento lungo e tormentato.

PRIMO GRADO

In primo grado NAR Francesca Mambro e Giusva Fioravanti vengono per condannati per strage e per banda armata, insieme a Gilberto Cavallini e altri, mentre Licio Gelli, il faccendiere Francesco Pazienza e gli ufficiali del SISMI Pietro Musumeci (P2) e Giuseppe Belmonte finiscono condannati per i depistaggi (Corte d’Assise di Bologna, 11 luglio 1988).

APPELLO I

Nel luglio 1990, la Corte d’Assise d’Appello di Bologna ribalta la sentenza di primo grado, mandando tutti assolti (Corte d’Assise d’Appello di Bologna 18 luglio 1990).

CASSAZIONE I

Nel febbraio 1992 la Cassazione, a Sezioni unite, riforma la sentenza di appello, per motivazione illogica e incoerente (Corte di Cassazione, Sezioni unite, 12 febbraio 1992), e rinvia in appello: il giudizio di rinvio conferma l’impianto accusatorio del primo grado.

APPELLO II E CONFERMA DEFINITIVA

Nel maggio del 1994, Mambro e Fioravanti sono nuovamente condannati all’ergastolo per strage (Corte d’Assise d’Appello di Bologna, 16 maggio 1994), condanne destinate a venire confermate in Cassazione, di nuovo a Sezioni unite diventando definitive nel novembre 1995, insieme a quelle per banda armata e depistaggio (Corte di Cassazione, Sezioni unite, 23 novembre 1995). La stessa sentenza ha confermato, per il cosiddetto “secondo livello” le condanne per Licio Gelli (10 anni), Francesco Pazienza (10 anni) e per gli ex ufficiali del Sismi Pietro Musumeci (8 anni e 5 mesi) e Giuseppe Belmonte (7 anni e 11 mesi).

SEDE CIVILE

A seguito di una causa con parti civili la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero degli Interni, Mambro e Fioravanti come responsabili dei danni a seguito della condanna da loro subita nel 1995, saranno anche condannati a risarcire lo Stato dal Tribunale ordinario di Bologna.

 

CHI SONO I NAR

  

I rovesciamenti si accompagnano sempre a polemiche politiche, ci sono in gioco da una parte il fatto che i Nar nascono a Roma nel 1977 dall’interno dei giovani del Msi: alcuni elementi, insofferenti alla gerarchia del partito, se ne distaccano per dare vita a un braccio armato. Il fatto che non scrivano documenti programmatici, ma solo volantini di rivendicazione, accredita il concetto di “spontaneismo armato”, ma resta al centro delle polemiche la matrice originaria e le prese di distanzia più o meno nette. Dall’altra parte, le polemiche si rinfocolano quando nel 1994 Silvio Berlusconi diventa capo del Governo, con il sostegno di An (che ha radici in Msi), a riaccenderle sono proprio i condannati Mambro e Fioravanti con una provocatoria intervista al Corriere della Sera: «Loro al Governo, noi all’ergastolo», riferita ad antichi compagni di militanza. Nello stesso periodo nasce il movimento trasversale E se fossero innocenti, che riaccredita piste alternative poi smentite dalle sentenze come quella palestinese. Sono polemiche mai sopite, tanto è vero che nel 2023 per un post revisionista in cui dichiarava “innocenti” i Mambro e Fioravanti, Marcello De Angelis si è dimesso da portavoce del presidente della Regione Lazio.


GLI ALTRI PROCESSI, IL CASO CIAVARDINI


Il secondo processo ha portato alla condanna a 30 anni di Luigi Ciavardini, membro dei Nar, sarebbe stato una costola del primo processo, ma aveva come imputato un ragazzo all’epoca dei fatti minorenne, per cui nel 1980 sarebbe stato competente il Tribunale per minorenni e questo ha determinato una complessità che ha fatto iniziare il processo a suo carico solo nel 1997, concluso il primo. Nel frattempo nel 1991 Ciavardini era stato condannato con sentenza definitiva per l’omicidio del magistrato Mario Amato. Assolto in primo grado nel 2000 dal Tribunale per i minorenni di Bologna, 30 gennaio 2000), Ciavardini è condannato in Appello nel 2002 (Corte d’Appello di Bologna, sezione per i minorenni, 9 marzo 2002); nel 2003 la Cassazione annulla la condanna (17 dicembre 2003), ma un anno dopo la Corte d’Appello per minorenni di Bologna conferma la condanna. Nel 2007 anche la condanna per strage diventa definitiva (Cassazione, sentenza dell’11 aprile 2007).

I DEPISTAGGI

  

Il terzo processo è il cosiddetto  “depistaggi”: approfondisce l’impatto dello sviamento delle indagini che in parte spiega la complessa storia processuale, le responsabilità dei servizi segreti e il ruolo di Massimo Carminati, esponente della Banda della Magliana legato ai NAR, tornato alle cronache in anni recenti per l’indagine nota al grande pubblico come “mafia capitale” che ha visto confermare in Cassazione non l’aggravante mafiosa ma pervasivi fenomeni corruttivi.


PROCESSO CAVALLINI


Il quarto processo, all’ex NAR Gilberto Cavallini è ora in fase di Cassazione dopo la conferma della condanna in secondo grado dell’imputato all’ergastolo il 27 settembre 2023.

PROCESSO BELLINI, IMPORTANTE MA NON ANCORA DEFINITIVO

  

Il processo Bellini, che include la cosiddetta inchiesta sui mandanti, si è aperto, sempre a Bologna, il 16 aprile 2021. Il 6 aprile 2022 la Corte di Assise di Bologna ha condannato all’ergastolo Paolo Bellini, l’ex capitano dei carabinieri Piergiorgio Segatel, accusato di depistaggio, a sei anni, e Domenico Catracchia, ex amministratore di condomini in via Gradoli a Roma, accusato di false informazioni al pm al fine di sviare le indagini, a quattro anni. Sentenza confermata l’8 luglio 2024 dalla Corte di Assise di Appello di Bologna che ha ribadito le condanne di Bellini, Catracchia e Segatel. A questi giudizi si aggiunge l’istruttoria che ha indagato e vagliato, senza trovarvi riscontri, la cosiddetta pista palestinese. Tutti e cinque i Nar condannati per la strage si sono sempre detti innocenti.

L’importanza del processo Bellini sta anche nella valutazione della complicità di altri esponenti della galassia della destra eversiva e nell’aver sancito che l’ideazione sarebbe stata della P2 con l’aiuto dei servizi deviati. Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi sono stati ritenuti mandanti, finanziatori e organizzatori, ma reati a loro a carico si sono estinti per morte del reo. La sentenza della Corte di Assise mette comunque nero su bianco i ruoli, parla di «un progetto politico e criminale di ampia portata radicato ai vertici della loggia massonica P2 e sostenuto dalla complicità, dai silenzi, dalle omissioni di chi aveva la possibilità di sapere e impedire ma non lo fece perché era di fatto al servizio di chi sostenne, finanziò e promosse la strage». (Corte d’Appello di Bologna, 8 luglio 2024). Quest’ultimo processo attende i tempi tecnici del ricorso per Cassazione.


IL CONTESTO STORICO

Questa massa di sentenze, certo tormentate per la lunghezza, i rinvii, i bastoni tra le ruote, ha ricostruito in modo convergente e coerente le responsabilità materiali e i depistaggi, nonché il quadro delle deviazioni istituzionali. Tutti questi elementi concorrono a togliere la strage di Bologna dai cosiddetti misteri italiani, ma questo non basta a spegnere le polemiche che si rinnovano a ogni anniversario.

Lo storico Mimmo Franzinelli, interpellato da Fc tempo fa a proposito della difficoltà di una memoria pacifica sugli anni di piombo, ricostruiva così il contesto della cosiddetta “strategia della tensione”: «Non credo a un piano unico, ma a diverse e plurime strategie della tensione: una destra legata ai servizi segreti voleva attentati dimostrativi che spaventassero l’opinione pubblica e stabilizzassero la situazione politica sul centrodestra. Allo scopo utilizzavano anche la collaborazione di una manovalanza neofascista che credevano subalterna. Penso, però, che i neofascisti perseguissero un’altra strategia: attentati reali, per massimizzare il disordine e sollecitare una risposta d’ordine che trasformasse l’Italia in una caserma, come la Grecia dei colonnelli».

Un’analisi che non si discosta molto da quella di Fausto Cardella, oggi a riposo, nel 2007 giudice estensore della sentenza definitiva del troncone Ciavardini in Cassazione, che, riflettendo su Fc in occasione di un altro recente anniversario, riguardo al livello di “verità raggiunta” a proposito della strage di Bologna, spiegava, «Nel nostro Paese è radicato il “complottismo”, si tende a non credere alle verità ufficiali o a ritenere che resti sempre qualcosa da scoprire, ma in questo modo non ci si acquieta mai; d’altro canto però non possiamo neanche dire che la verità accertata da queste tre-quattro sentenze esaurisca tutti gli interrogativi sulla strage di Bologna (l’ultimo processo che include i mandanti si è appena chiuso in appello e attende il ricorso in Cassazione, ndr.). Però una cosa possiamo dirla: di Bologna conosciamo la dinamica e gli esecutori sono stati condannati. Quanto ricostruito dalla sentenza a carico dei primi due ha trovato conferme in quelle a carico degli altri due e anche nelle archiviazioni che hanno escluso le piste alternative. Non solo, nell’ottica distorta di chi ha commesso questi gravi reati e nel contesto di quegli anni, i moventi sono apparsi “plausibili” (…). È plausibile che, in tempi di guerra fredda, un po’ come nella Grecia dei colonnelli, ci siano state pulsioni autoritarie tese a “stabilizzare” in chiave anticomunista la posizione atlantica dell’Italia e che abbiano portato a collusioni e a convergenze di interessi tra pezzi deviati dello Stato e frange eversive di estrema destra. Ciò non esclude che queste frange siano andate anche oltre perseguendo obiettivi autonomi. Depistaggi e tentativi di coprire sono in ogni caso accertati da sentenze passate in giudicato».

PERCHé si discute ancora

  

A far discutere, in particolare, a ogni anniversario è l’interpretazione che si dà al “bisogno di verità”, di approfondirla o di continuare a cercarla, che viene da parti a volte contrapposte: dalla parte delle vittime chi chiede di approfondire, desidera che si vada a fondo di quello che ancora manca in termini di “mandanti” di “collateralismi”; da parte politica, talvolta è accaduto e accade che si adombri dietro questa richiesta di approfondimento l’aspirazione al ritrovamento di una verità alternativa che possa smentire quella già accertata dal giudicato.

Non per niente nel dibattito in corso, che ha scosso l’anniversario del 2024, si è sottolineata la differenza tra le parole nette del presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «Una spietata strategia eversiva neofascista nutrita di complicità annidate in consorterie sovversive che hanno tentato di aggredire la libertà conquistata dagli italiani. A Bologna si consumò uno degli eventi più tragici della nostra storia repubblicana. Una ferita insanabile, monito permanente da consegnare alle giovani generazioni unitamente ai valori della risposta democratica della nostra Patria, che hanno consentito il riscatto e, nell’unità della nostra comunità, la salvaguardia del bene comune», quelle del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, presente alla commemorazione: «Una strage neofascista, espressione di un disegno eversivo che mirava a colpire lo Stato nella componente più sensibile, le persone comuni » e quelle invece comuni alla dichiarazione ufficiale della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni «Il terrorismo, che le sentenze attribuiscono a esponenti di organizzazioni neofasciste, ha colpito con tutta la sua ferocia la Nazione» e al messaggio sui social del Presidente del Senato Ignazio La Russa, «Un vile attentato che le sentenze hanno attribuito a una matrice neofascista».


I PUNTI DEL CONTENDERE

L’oggetto del dibattito sta nella scelta del verbo attribuire, diverso dall’accertare che leggiamo in altre analisi e che in genere le isituzioni riservano al giudicato: perché un accertamento è un fatto acquisito, un’attribuzione qualcosa da cui si può dissentire. C’è chi legge in quell’attribuire un’ambiguità rispetto al riconoscimento di quanto messo nero su bianco dell’autorità giudiziaria.

L’altro tema che fa discutere è il riferimento fatto da Paolo Bolognesi, il presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime riguardo alla presenza della separazione della carriere dei magistrati nel piano di rinascita di Licio Gelli. Se la presenza nel piano è un fatto incontrovertibile, come lo è il fatto che la separazione sia una delle riforme sul tavolo del Governo in carica (ed era già nel programma dei Governi Berlusconi, cosa che fece discutere all’epoca, perché il nome di Berlusconi fu trovato negli elenchi della loggia P2). Il resto, eventuali coincidenze, continuità e contiguità, rientrano nel campo delle interpretazioni, riguardo alle quali le opinioni politiche e non legittimamente possono divergere.





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