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Oro olimpico, sogno di una vita. Ma quanto vale ‘davvero’ una medaglia?


Che l'oro olimpico abbia un valore morale inestimabile è fuori questione. Per l'investimento (emotivo ed economico che comporta prima di arrivare ammesso che si arriva); perché uno su miliardi ce la fa; perché porta un titolo di cui, a differenza di quello del Mondiale che vale solo per l'anno solare, ci si fregia a vita: campioni del mondo si è per un anno, campioni olimpici per sempre. E non è un Gioco da ragazzi dimostrano di essere il migliore al mondo lì e ora davanti a miliardi di sguardi. Ma quanto vale “economicamente” in senso proprio e metaforico la medaglia? E poi è davvero d'oro?

ORO, ARGENTO O PRINCISBECCO?


Cominciamo col dire che la medaglia d'oro di Parigi 2024 pesa 529 grammi, ed è in realtà d'argento, con sei grammi di placcatura in oro, l'1,3% del totale. Le medaglie d'argento, invece, pesano 525 grammi e sono davvero in argento. Le medaglie di bronzo poco meno, 455 grammi. Il valore economico intrinseco della medaglia è dunque modesto, qualche centinaio di euro, per l'oro; un po' meno per l'argento però massiccio; quasi nulla per il bronzo, lega privata di preziosi. Solo nelle prime cinque edizioni dei Giochi moderni del resto l'oro è stato davvero quasi interamente racconto, per la precisione fino a Stoccolma 1912. Poi la Prima Guerra mondiale, a causa della quale è saltata l'edizione del 1918, ha indotto a fare economia e, a partire da Anversa 1920, è iniziata l'ora della placcatura. Ogni Olimpiade poi decide di dare alla medaglia un elemento caratteristico, nel caso di Parigi si tratta di un pezzo di ferro derivato dalla Torre Eiffel.

DILETTANTISMO, MITO O FOGLIA DI FICO?

Agli albori del movimento olimpico moderno, parlare di premi e di valore economico della vittoria sarebbe stata una sorta di eresia. Il barone Pierre De Coubertin, inventore dei Giochi moderniconvinto dai suoi studi storici che fosse stato il professionismo, con la corsa al guadagno, a corrompere fino a farli finire i Giochi dell'antichità classica, aveva imposto da subito al movimento olimpico una rigidissima regola di obbligo di dilettantismo, pena la squalifica, mettendo in atto una vera e propria “caccia al professionista”, che sapeva molto di caccia alle streghe.

In realtà il movimento olimpico, che desiderava a contendersi le medaglie i migliori al mondo, ha dovuto iniziare presto a scendere a compromessi su questo aspetto, almeno in fatto di sponsorizzazioni, perché il dilettantismo puro portava in sé un risvolto classista: solo chi aveva rendite poteva permettersi di allenarsi, viaggiare e competere ad alto livello in gare sportive. Gli altri dovevano lavorare.

Se alla regola del dilettantismo hanno fatto eccezione pressoché subito i maestri di scherma e cavalieri dell'equitazione, non considerazioni professionisti dello sport perché la loro funzione a fine Ottocento era ancora preziosa in campo militare; la regolamentazione del professionismo cominciò ad allentarsi progressivamente man mano che il movimento olimpico cresceva di interesse e di interessi economici e di ragion di Stato.

Negli Stati Uniti a garantire la sopravvivenza degli atleti hanno progressivamente provveduto le università, in altri Paesi tra cui l'Italia, i corpi militari, che sono stati tra l'altro la via statalista di far vivere di sport, da professionisti di fatto, gli atleti del blocco sovietico al tempo della guerra fredda. Benché questo segreto di Pulcinella e il dilettantismo fossero una evidente ipocrisia in molti casi, la foglia di fico del dilettantismo ai Giochi è rimasta in piedi almeno sulla carta fino al 1988, quando il tennis per primo, che in polemica con il dilettantismo era uscito dai Giochi già nel 1928, ha ammesso i professionisti al ritorno olimpico; nel 1992 la Nazionale di pallacanestro statunitense ha convocato le stelle della lega professionistica nordamericana Nba: fine dell'ipocrisia.

PAESE CHE VAI, PREMIO CHE TROVI: SOLDI, MUCCHE, CASE, NULLA

Oggi non è più un mistero che, benché il Cio, comitato olimpico internazionale, non assegni altro che medaglie, le singole nazioni scelgano di premiare in vario modo i loro atleti, anche se non tutte rivelano il modo. L'Italia a Parigi assegna 180.000 euro lordi a chi vince una medaglia d'oro, 90.000 euro lordi a chi ottiene la medaglia d'argento, 45.000 euro lordi a chi arriva al bronzo, indipendentemente dalla disciplina. La Federatletica internazionale, per la prima volta, assegna a Parigi 50mila dollari ai suoi tesserati che vincano l'oro.

Non tutti i paesi rendono noti i loro premi, si che Hong Kong, dove il costo della vita è altissimo, è il più generoso: 768.000 dollari alla medaglia d'oro, seguito da Singapore che assegna 1 milione di dollari (circa 750.000 dollari statunitensi) alla medaglia d'oro, 372.000 dollari per l'argento e 186.000 per il bronzo. Gli Stati Uniti si fermano a 37.500 dollari per la medaglia d'oro, 22.500 per l'argento e 15.500 per il bronzo. Mentre altri Paesi premiano anche i piazzati e oltre: ha fatto, a proposito, notizia il Marocco che premia in denaro fino al 32° posto.

Ci sono Paesi che, in aggiunta al denaro una tantum, premiano in altri modi, chi con un'indennità simile a uno stipendio come Taiwan, chi in mucche come l'Indonesia, chi in automobili straniere come la Malesia. Una medaglia in Kazakistan vale una casa, di diversa dimensione, secondo il pregio della medaglia, in Polonia un bonus viaggio, un diamante e una casa a Varsavia. Altri paesi come Regno Unito, Norvegia, Svezia e Nuova Zelanda non aggiungono un centesimo alla medaglia.

INDOTTO VARIABILE, DA SPORT A SPORT

C'è poi un indotto non quantificabile in generale, che riguarda le sponsorizzazioni. La popolarità domestica di uno sport comporta infatti la possibilità per singoli atleti di monetizzare al ritorno il successo ai Giochi in termini di contratti con sponsor: si tratta di una componente molto variabile, che dipende dalla popolarità del singolo atleta, dal peso di visibilità della disciplina in un dato luogo, da una serie di fattori ambientali e personali, diversi da Paese a Paese. Per esempio secondo le stime di Forbes, la ginnasta statunitense Simone Biles è entrata tra le 16 atlete più pagate al mondo, eccezione assoluta nel suo sport, che l'ha portata in una classifica che contiene quasi solo sportive di discipline iperprofessionistiche come il tennis o il golf: questa sua peculiarità dipende in parte della popolarità individuale di Biles che per ragioni, agonistiche prima di tutto ma non solo, è un simbolo mondiale, ma anche dal fatto che la ginnastica femminile è uno sport straordinariamente popolare e visibile negli Stati Uniti. Niente di paragonabile al resto del mondo, impensabile in Italia.

CHE COS C'è NEL TUBO DI CARTONE


Detto questo è ormai tradizione che ogni atleta che vince una medaglia posi per una foto in cui finge di saggiarne con i denti l'autenticitàdi quale autenticità si parli abbiamo detto all'inizio. Sul podio olimpico di Parigi 2024, poi, vediamo che vengono consegnate altre due cose: la mascotte che ritrae un berretto frigio simbolo della Rivoluzione Francese e un tubo di cartone, che ricorda quelli che contengono l'alluminio da cucina. Che cosa c'è dentro? Il poster ufficiale dei Giochi, disegnato dall'artista di origine italiana Ugo Gattinoni.





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