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La disperazione di Gian Marco Tamberi: ‘È tutto finito’. Ma reagisce da campione



«È tutto finito…. Ci ho sperato fino all'ultimo, ci ho creduto nonostante tutto quello che era successo. Ho ricevuto un sostegno e un affetto così grande da parte di tutti voi che mi ha dato una forza unica per rialzarmi da questo ennesimo problema, ma evidentemente doveva andare così….. Questa notte alle 5 mi sono svegliato a causa di quello stesso dolore lancinante di qualche giorno fa. Un'altra colica renale. Sono passate 5 ore e ancora il male non passa. Sono riuscito a battere il destino una volta dopo quell'infortunio nel 2016, questa volta purtroppo penso proprio che abbia vinto lui. Sono senza parole, mi dispiace davvero da morire. Scenderò in pedana comunque questa sera? Sì, ma non so davvero come farò in queste condizioni a saltare….». Con queste parole cui segue una faccina triste, Gimbo Tamberi il capitano della spedizione azzurra, annuncia che la sua gara di salto in alto di stasera è stata azzoppata dall'ultimo colpo della sventura: un'altra colica renale nella notte ha azzerato le speranze, ma non la professionalità che gli fa annunciare l'intenzione di scendere ugualmente in pedana.

Verrebbe da dirgli: adesso, ascolta il tuo corpo, capitano, non chiedergli più di quello che può dare. Ma Gimbo è questo, prendere o lasciare, e l'ha già dimostrato al mondo: vincendo tutto quello che un campione di atletica possa chiedere a sé stesso: Olimpiadi, Mondiali, all'aperto e al coperto, Diamond League, quattro Europei, uno indoor e tre all'aperto, l'ultimo il giugno scorso a Roma, davanti un divertitissimo presidente Sergio Mattarella.

Tutto questo nonostante il grave infortunio che gli aveva impedito sul filo di lana la partenza per Rio 2016, dove andava favorito. Ha vinto a Tokyo, cinque anni dopo, portandosi il gambaletto di gesso di allora come un trofeo apotropaico sulla pedana, uno sberleffo alla malasorte e insieme la testimonianza del dolore trascorso. Un anno fa è diventato campione del mondo, dopo aver cambiato staff, gestendo elegantemente in pubblico con classe da campione la frattura con il padre ex allenatore.

A Parigi sarebbe arrivato da campione europeo, dopo una preparazione maniacale da fachiro, se solo tutte le cattive stelle non si fossero date appuntamento sul punticino che Tamberi occupa nel mondo con perfetto quanto crudele tempismo: primo un fastidio muscolare a poche settimane dei Giochi, poi la fede nuziale scivolata dal dito sotto la pioggia nelle onde della Senna alla cerimonia d'apertura, infine la colica renale che ne ha ritardato il ritorno a Parigi giusto tre giorni prima della qualificazione, resa difficilissima dalla forma azzerata dal malessere. Già l'averci provato aveva un che di eroico.

La notte prima della finale quest'ultima tegola. Non era così che voleva finirla e si capisce, ma qualunque cosa decida, di qui in poi, il matrimonio in Chiesa, un figlio, magari un ripensamento riguardo alle gare oppure l'addio, ora possiamo dirlo: Gian Marco Tamberi passerà alla storia come il più vincente campione che la storia dell'atletica italiana ricordi, anche senza il record del mondo di Pietro Mennea e Sara Simeoni.

Possiamo dirlo per il suo albo d'oro senza buchi, ma anche perché siamo sicuri di una cosa: senza gli sgambetti del destino un'altra medaglia, di qualunque colore, conoscendolo, stasera sarebbe arrivato. Idealmente c'è ed è quella del campione che ci ha provato contro la sorte e oltre la sorte. Di più, Gimbo, non si può fare. Perché non tutto è nelle nostre mani. Ma grazie per come sei. Come atleta, come capitano e come persona.





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