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Viaggio notturno sotto la Luna, pensando a De Gasperi



di Pierluigi Castagnetti

Ero a Roma, ieri sera, domenica 18 agosto, perché l'indomani sarò andato sulla tomba di De Gasperi, nella basilica di San Lorenzo fuori le mura. Esco dal mio ufficio in via del Gesù, che risalgo sino all'incrocio con corso Vittorio Emanuele. E lì mi fermo. Sono appena passate le 23. E osservo di fronte a me quella piazza che ho frequentato per tanti anni con un'attenzione che mi pare di non averle mai riservato prima. A un certo punto mi accorgo che è passata mezz'ora, ma sento che debbo trattenermi ancora. Ci sono momenti che solo i poeti possono narrare e io, purtroppo (per me), non lo sono. Vedo la Luna piena posata proprio su palazzo Cenci Bolognetti (la sede della Democrazia Cristiana), che sembra non volersene andare quasi per fare un favore a me, come si fosse accorta che da un po' di tempo con la fantasia sono lì a immaginare scena di “potere reale” consumato in quelle stanze che mi bastava vedere attraverso le finestre per riconoscerle. Sapevo che De Gasperi stava prevalentemente al Viminale (sede allora della Presidenza del Consiglio), ma sapevo anche che qui stavano i suoi primi due vicesegretari, Bernardo Mattarella e Giuseppe Dossetti, e stavano dirigenti importanti a lui legatissimi, come Piccioni, Gonella, Taviani, Tupini e tanti altri.

Ma passava lui stesso quasi tutti i giorni. Immaginavo le riunioni di Direzione, le discussioni ei litigi, vedevo uscire di tanto in tanto dal Palazzo qualcuno di loro, attraversare la strada e infilarsi nella chiesa del Gesù, il tempo di una Messa o di una confessione, prima di rientrare. Quegli uomini avevano una precisa consapevolezza della loro responsabilità di dover guidare il Paese verso una fase di ricostruzione. È vero che il partito di maggioranza non era il governo, ma era pur sempre al governo, con ruoli decisivi. E, poiché sullo sfondo della piazza, esattamente nel lato nord del Palazzo della Dc, c'era via delle Botteghe Oscure che dal mio punto di osservazione ieri sera vedevo bene, mi chiedevo cosa in quell'altro Palazzo, sede del Partito comunista italiano, si congetturasse contemporaneamente e senza sapere delle discussioni del partito rivale. Immaginavo Palmiro Togliatti (fra pochi giorni sarà il 60” della sua morte) e Secchia, Pajetta e Amendola, Di Vittorio, Longo, la Jotti, e poi Ingrao, e altri ancora. Fare la rivoluzione e insieme la democrazia non era impresa facile. E mi è venuta in mente una battuta che mi fece Dubcek quando gli chiesi perché la “rivoluzione di velluto” fosse riuscita ad Havel e non a lui quando pure ci provovò con la “primavera di Praga” vent'anni prima. La risposta fu icastica: “perché le rivoluzioni le possono fare solo quelli che non sanno che le rivoluzioni non si possono fare”.

E in quella direzione di Botteghe Oscure erano non pochi coloro che sapevano che le rivoluzioni non si possono fare. E forse anche nel palazzo dirimpettaio, quello sede della Dc, a partire da De Gasperi, in tanti sapevano ciò che sapevano i comunisti. Per questo hanno potuto osare e governare, osare tante volte per poter governare tanti anni.





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