Sport

Giacomo, morto nel cantiere del Sulcis: la fine del viaggio nella terra delle miniere


Repubblica dedica uno spazio fisso alle morti sul lavoro. Una Spoon River che racconta le vite di ciascuna vittima, evitando che si trasformino in banali dati statistici. Vite invisibili e dimenticate. Nel nostro Paese una media di tre lavoratori al giorno non fa ritorno a casa e “Morire di lavoro” vuole essere un memento ininterrotto rivolto a istituzioni e politica fino a quando avrà termine questo “crimine di pace”.

“Ho visto il nulla della fatica quotidiana”, scriveva Elio Vittorini dopo un viaggio a Iglesias di oltre novant'anni fa. Il Sulcis, nel Sud Sardegna, oggi è una terra di vuoti. Decine di miniere, ormai deserte, cesellano come cicatrici le colline tra Carbonia e Iglesias: si muovono soltanto le grandi pallide eoliche con la loro danza lenta e silenziosa. Tutto il resto è immobile, vuoto. Anche il mare che sta lì dietro, ma non si vede. Giacomo è andato a morire lì, lui che viveva a Olbia ed era di un'altra nobile terra sarda: il Meilogu, nel Logudoro. E' andato a morire lì da operaio, colpito da una grossa chiave inglese nel cantiere di Santadi per la posa di un tubo della corrente elettrica. Albino Giacomo Virgilio, 46 ​​anni, sposato con Daniela e papà dei piccoli Elisa e Salvatore, a Cossoine lo conoscevano quasi tutti, anche perché un nipote è un fantino emergente nelle corse al galoppo. Ultimo di nove fratelli, dopo la scuola dell'obbligo aveva scelto subito la strada del lavoro, prima apprendista fabbro poi operaio. “Ti sia lieve la terra fedà”, ha scritto sui social l'amico Nanneddu e, in Sardegna, essere un 'fedale' e quasi essere un fratello. “Marito e padre formidabile – ha scritto la famiglia di Giacomo – la tua bontà, il tuo buonumore e la tua incontaminata allegria sono stati la nostra compagnia in terra, ora sono certa lo sarà per gli angeli del cielo. Ci mancherai tanto”.



Source link

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *