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Violenze al carcere minorile Beccaria, che cosa si sa



«Ferma restando la presunzione di innocenza fino a sentenza di colpevolezza divenuta irrevocabile si tratta una vicenda dolorosa, una brutta pagina per le istituzioni», ah commento il procuratore di Milano Marcello Viola aprendo la conferenza stampa destinata a illustrare i risultati delle indagini, condotte da Polizia di Stato e Polizia penitenziaria, a carico di 21 agenti di Polizia penitenziaria per episodi di violenza contestati nell'istituto penitenziario minorile Cesare Beccaria di Milano, presso cui erano in servizio.

Quella che emerge un po' a poco nel racconto dei magistrati, il procuratore le assegnatarie dell'indagine Rosaria Stagnaro e Cecilia Vassena, coordinate dall'aggiunta Letizia Mannella, che coordina la sezione soggetti deboli, è una storia di violenza reiterata, in cui le intemperanze dei giovani detenuti dovrebbero trovare risposta a botte nel chiuso della stanza del capoposto o di altre stanze comunque cieche alle telecamere del circuito chiuso interno al penitenziario che sono ugualmente stati utili all'acquisizione di immagini che secondo i coordinatori dell'indagine hanno potuto documentare insieme ai racconti quello che i Pm hanno scoperto un «clima invisibile». «Colpivano tre aspetti», racconta Mannella, «il fatto alcuni ragazzi cercassero di darsi pizzicotti per mantenere segni di violenza» esercitati in modo da non lasciarne, che «da parte di alcuni indagati si vivesse con fastidio la richiesta di spiegazione da parte dei superiori e il fatto che vivessero queste reazioni come “educative”». Botte, di cui in alcune circostanze si cercava di occultare la traccia utilizzando mezzi che non lasciassero segni, come sacchi di sabbia. Ma non sarebbero mancati «bastoni o comunque strumenti atti ad offendere».

È Cecilia Vassena a mimare l'atto di coprirsi il volto con i polsi uniti dalle manette, per ripararsi, mostratole da uno dei giovani detenuti, mentre le spiegava che non lo si sarebbe potuto fare nei momenti in cui, come sarebbe avvenuto a volte in quelle stanze “cieche” al Beccaria, le manette erano state chiuse dietro la schiena. Una storia in cui si parla di «relazioni di servizio addomesticate» (di qui il reato di falso ideologico). E anche di un caso isolato di un tentativo di violenza sessuale da parte di un agente a un minore, episodio che, però, avrebbe dato origine alla più inquietante delle vicende contestate: l'aggressione che il giovane detenuto avrebbe messo in atto nei confronti dell'agente cui è contestata la tentata violenza sarebbe infatti sfociata in un doppio pestaggio ritorsivo, la sera stessa e poi il giorno dopo, che in assenza del sospettato del tentato abuso, avrebbe visto coinvolti altri agenti in quel momento non in servizio.

Risultato: Tredici agenti di polizia penitenziaria in custodia cautelare in carcere, altri otto sospesi dai pubblici uffici, tutti tranne uno ancora in servizio all'epoca dei fatti: la misura, firmata dal Gip di Milano Stefania Donadeo, ha come oggetto condotte riscontrate in un arco temporale che va dal 2022 a poco tempo fa, più volte ribadire nel tempo nei confronti di detenuti minorenni. L'indagine, coordinata dai pm del quinto dipartimento, guidata dall'aggiunta Letizia Mannella, che ha portato il gip, a emettere le ordinanze di custodia cautelare, è scaturita da alcune segnalazioni, raccolte anche attraverso il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, ma anche dai racconti di ragazzi in passato detenuti presso la struttura.

I reati ipotizzatitutti contestati anche nella forma dell'omissione, sono quelli di «maltrattamenti in danno di minori, aggravati dalla minorata difesa e dall'abuso di potere; concorso nel reato di tortura, aggravato dall'abuso di potere del Pubblico ufficiale, lesioni, concorso nel reato di falso ideologico e anche un caso sporadico, isolato, occasionale rispetto allo schema degli altri casi, di tentata violenza sessuale ad opera di un agente nei confronti di un detenuto».

Nel corso della conferenza stampa è stata ribadita più volte la «massima collaborazione» avuta nelle indagini da parte della Polizia penitenziaria e del Dap (sia quello che si occupa dei minori, guidato da Antonio Sangermano sia quello che si riferisce ai maggiorenni, diretto da Giovanni Russo): «Stiamo perseguendo le responsabilità dei singoli soggetti e in questo l'amministrazione ha pienamente collaborato».

Cecilia Vassena ha parlato al proposito di «Mele marce, ma di una istituzione sana».

«Non ci piace quello che è stato accertato, ma è interesse dello Stato fare luce su questi fatti che creano desolazione e sconforto perché commessi nell'ambito carcerario che vive un momento di tragica difficoltà come dimostrare i suicidi e il sovraffollamento», ha aggiunto il procuratore. «Le condizioni all'interno delle carceri sono problematiche. Il carcere è un luogo di sofferenza e va fatto di tutto perché questa condizione non venga aggravata, soprattutto quando si tratta di minori per i quali si spera possano realizzarsi di più le condizioni per il recupero e la riabilitazione – ha concluso il procuratore -. Bisogna interrogarsi sul perché questo è successo, bisogna ricordarsi che la Polizia penitenziaria opera in condizioni di difficoltà. Vi sono stati episodi in cui gli agenti hanno evitato suicidi, bisogna però puntare molto sulla formazione: la massima professionalità è l'unica possibilità per evitare la reiterazione di episodi simili»





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