Economia Finanza

“Colpire la Russia”. Europa divisa




Kiev chiama, Bruxelles prova a rispondere tramite il suo «ministro degli Esteri» Josep Borrell, che invita ad accoglierne le richieste. Ma le parole dell'Alto Rappresentante per la Politica estera dell'Ue dividono l'Unione e fanno infuriare l'Ungheria non solo sul dossier Ucraina, quando Borrell esorta i 27 a rimuovere le restrizioni a Kiev sull'uso di armi occidentali contro la Russia . Le dichiarazioni del leader della diplomazia europea accendono la miccia anche sul dossier Medio Oriente, quando l'Alto rappresentante chiede di sanzionare i ministri israeliani che lanciano messaggi d'odio. Proposte, entrambe, che Budapest definisce «folli».

A far riemergere le divergenze tra il governo di Viktor Orbán, il più vicino a Mosca in seno all'Unione, e il resto degli Stati membri, sono stato innanzitutto le parole di Borrell al suo arrivo al Consiglio informale Esteri di Bruxelles, quando il ministro degli esteri dell'Ue ha spiegato senza mezzi termini la necessità di rimuovere i limiti imposti a Kiev sull'uso di armi contro obiettivi militari russi: «Gli armamenti che stiamo fornendo all'Ucraina devono avere pieno utilizzo – ha spiegato Borrell e le restrizioni devono essere rimosse affinché gli ucraini possano colpire i luoghi da cui la Russia sta bombardando». Al suo fianco, mentre pronunciava queste parole, c'era il ministro degli esteri ucraino Dmytro Kuleba, che a Bruxelles si è lamentato dei ritardi nell'invio di armi da parte degli alleati occidentali: «Dopo due anni e mezzo di guerra, dovrebbero funzionare come un orologio svizzero», ha spiegato polemico. Poi Kuleba è tornato sulle «questioni in sospeso», il permesso di raggiungere obiettivi militari legittimi nel territorio russo, in particolare gli aeroporti utilizzati dalla Russia per lanciare bombe strategiche e tattiche sulle forze ucraine e le infrastrutture civili: «Se ci viene fornita una quantità sufficiente di missili, se ci viene permesso di colpire – aggiunge Kuleba – ridurremo significativamente la capacità della Russia di infliggere danni alle nostre infrastrutture critiche e miglioreremo la situazione per le nostre forze sul campo». Secondo la Cnn, il capo dell'ufficio presidenziale ucraino Yermak e il ministro della Difesa Umerov sono attesi in queste ore negli Stati Uniti proprio per tentare di strappare la via libera di Washington. E se i Paesi Bassi hanno già dato via libera all'impiego delle proprie armi in territorio russo, il ministro degli esteri Alberto Tajani spiega invece che «per l'Italia rimane la posizione di utilizzare le nostre armi all'interno del territorio ucraino».

Eppure, secondo la Lituania, «Kiev non riceve più ricchezze da giugno, nessuna batteria di Patriots promessa all'Ucraina è stata consegnata e solo due degli F-16 inviati hanno appena iniziato a essere utilizzati». Una spiegazione a questa lentezza la trova una fonte diplomatica europea, che spiega all'Ansa come il ritardo nella consegna di aiuti potrebbe essere il segnale di una trattativa con Mosca che si avvicina, in vista della fine della guerra, più per volontà dell'Occidente che di Kiev. «Perché i soldi stanno finendo – spiega la fonte – Ma l'Ucraina vuole una chiusura alle sue condizioni. Ecco allora l'offensiva di Kursk, per avere qualcosa da negoziare con Mosca, visto che potrebbe essere costretta ad iniziare i negoziati prima delle elezioni americane».

Quanto al Medio Oriente, Borrell spiega di aver avviato la procedura per chiedere di includere nella lista delle sanzioni alcuni ministeri israeliani che lanciano messaggi d'odio «inaccettabili» contro i palestinesi e incitano a commettere crimini di guerra». Il ministro Tajani definisce l'ipotesi «irreale». L'Ungheria seppellisce entrambe le proposte, su Ucraina e Medio Oriente, come «folli». «La pericolosa furia dell'Alto rappresentante per gli Affari esteri deve essere fermata», tuona il ministro degli Esteri ungherese, Peter Szijjarto.

«Non vogliamo più armi in Ucraina, non vogliamo più morti, non vogliamo l'escalation della guerra, non vogliamo nemmeno l'espansione della crisi in Medio Oriente. Ancora oggi sosteniamo il buon senso e la pace». Con un occhio di riguardo per Mosca.



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