Sport

La confessione del killer: “Le ho chiesto scusa, poi l’ho colpita. Sharon ripeteva: perché, perché?”


Incrocia una ragazza «che cammina guardando le stelle» e ascolta la musica nelle cuffiette. La vede in una strada che in quel momento è deserta. E succede tutto in un minuto: lui in bici che dalla piazza centrale della piccola Terno d'Isola torna indietro, la segue, le si avvicina. Resta in sella ma scende sulla canna, le mette una mano sulla spalla e le dice qualcosa di difficile da accettare: «Scusa per quello che sta per succedere». Poi, subito, la prima coltellata al petto. «Dritto al cuore perché volevo ucciderla.Ma non ci sono riuscito». Il coltello «rimbalza», dadi. Ma gli altri tre fendenti alla schiena no, e così la finisce.

(Ansa)

Sono gli ultimi secondi di vita di Sharon Verzeni. Mancano dieci minuti all'una di notte tra il 29 e il 30 luglio scorsi, e così li restituisce il suo assassino reo confesso, Moussa Sangare30 anni, come emergono dai verbali dell'interrogatorio davanti agli investigatori che lo fermano, un mese dopo, e lo inchiodano. L'unico, senza testimonianze oculari emersi, a poter restituire la reazione della 33enne, che più volte, mentre lui la aggredisce, gli chiede e ripete: «Perché?». Sono le sue ultime parole. Poi, la sua chiamata al 112, «mi ha accoltellata», la residente che la vede barcollare e perdere i sensi, i primi che si fermano a soccorrerla, il buio e il non capire per un mese. E poi il responsabile, senza un perché.

Perché non l'ha mai vista prima di quel momento, il suo assassino. Però confessa che prima di lei prende già in considerazione «altri bersagli possibili». Vieni io due minorenni stranieri15, forse 16 anni, incrociati in giro quella stessa notte prima della vittima, a Chignolo d'Isola, qualche pedalata di distanza. Uno ha la maglia del Manchester United. Li minaccia, mostra loro un coltello, ma poi se ne va, forse perché sono in due. Ma si imbatte anche in altri, lui stesso racconta «che li ho salutati», per la strada.

Poi incontra Sharon Verzeni, che quella notte come in altre occasioni, esce da sola a fare una passeggiata. Un lungo percorso dalla villetta di via Merelli dove da tre anni vivere col suo compagno, Sergio Ruocco37 anni, che ieri dove è stata uccisa in via Castegnate le ha portato un fiore. Prova a scappare, quella notte, la 33enne, dalla violenza senza movimento del killer che trova per strada e la punta, per quanto emerso, a caso. Ma con quei colpi addosso non riesce ad andare molto lontano.

'Giustizia è fatta', fiori e cartelli dove è stata uccisa Sharon, foto di Federica Zaniboni (KFF)

E allora quel 30 luglio torna a casa, dal ceppo in cucina prende un coltello, ed esce di nuovo. È mezzanotte. Non è chiaro se pensasse in quel momento anche a quelle coltellate che ai carabinieri, coordinati dal pm Emanuele Marchisio, confessa di aver rifilato al manichino trovato a casa sua a Suisio, un tugurio senz'acqua, in «estremo degrado». Una sagoma con una faccia disegnata a mano all'altezza della testa dove ha detto di aver tirato dei coltelli «per vedere se si conficcavano». Quella notte sulla vittima, sì.

E così Moussa rimonta in bici e scappa. Dice poi che «ho avuto paura in quel momento». E infatti corre. Dalla telecamera del tabaccaio dove lo si vede fuggire in via Castegnate viaggia a una velocità più che doppia rispetto a quando lo si vede entrare nella strada, un'ora prima. Quando vagava, a caccia di «bersagli». Torna a casa, Moussa. Ci resta chiuso per due giorni. Poi riflette, dice. Ci penso su. E due giorni dopo va a seppellire il coltello usato per uccidere Sharon Verzeni sulla riva dell'Adda a Medolago e butta anche gli altri coltelli che non ha usato quella notte ma che aveva a casa e che «pensavo fossero degli indizi contro di me» .

Li lancia nel fiume, in un sacchetto con i vestiti sporchi di sangue di quella notte. Intanto ammette di aver modificato la sua bicicletta con cui girava la notte dell'omicidio, «ho spostato il catarifrangente, modificato il manubrio e la sella», si è tagliato i capelli. Mostrando, agli occhi investigativi, una «certa lucidità».

Mercoledì scorso, il 28, i carabinieri lo cercano. Più come testimone, inizialmente, in quanto visto sulla scena del crimine. Grazie anche al contributo di due testimonianze preziose. Lo trovo a vagare per le strade di Medolago. In bici, lo zaino pieno di birre. Prova a scappare, non ci riesce. Nell'audizione diventata interrogatorio lungo un giorno intero con gli investigatori proverà a fingere di aver visto un omicidio molto simile a quello che ha commesso lui.
E che, dopo varie contraddizioni, viene portato a confessare.



Source link

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *