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Il Custode di Terra Santa Patton: «Speriamo sia stato il picco e che ora inizi la discesa. Resta il dramma di Gaza»


Il Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton (Ansa)

«Si è trattato di una sola onda di attacco, ma se sono proseguiti per tutta la notte possiamo immaginare che il danno sarebbe stato ben maggiore. Noi tutti speriamo e preghiamo che questo sia stato il picco e che adesso inizia la discesa».

Questo l'auspicio espresso a Famiglia Cristiana dal Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton, dopo l'attacco iraniano a Israele della notte scorsa che ha tenuto il mondo con il fiato sospeso per il rischio escalation in Medio Oriente. Lo Stato ebraico non ha risposto immediatamente ma ha fatto sapere che lo farà nei modi e nei tempi che riterrà opportuni.

«Dopo l'attentato all'ambasciata iraniana a Damasco era abbondantemente prevedibile che l'Iran avrebbe fatto qualcosa per “pareggiare i conti” e non perdere credibilità sia a livello interno, sia a livello regionale e internazionale», spiega Patton, «dalle dichiarazioni fatte dagli iraniani e anche dal Presidente USA Joe Biden ciò che è accaduto stanotte sembra sia considerato sufficiente per ristabilire l'equilibrio di forze in termini di reciproca deterrenza. Si è trattato di una sola onda di attacco, ma se sono proseguiti per tutta la notte possiamo immaginare che il danno sarebbe stato ben maggiore. Noi tutti speriamo e preghiamo che questo sia stato il picco e che adesso cominci la discesa».

Ovviamente, prosegue Patton, «rimangono in primo piano la situazione a Gaza, con la necessità di una cessazione del fuoco prolungato per permettere l'arrivo ordinato di aiuti umanitari ai civili. Rimane il dramma degli ostaggi rapiti il ​​7 ottobre che è un dramma triplice: le famiglie degli ostaggi non ne possono più di non essere prese sul serio dal Governo nelle loro richieste, non si sa quanti sono ancora vivi e non si sa se l'attuale governo vuole davvero la loro liberazione. Resta da affrontare la questione palestinese, per risolvere la quale occorre cominciare a fare passi concreti verso una soluzione politica indicando tempi certi per la nascita e il riconoscimento internazionale di uno Stato di Palestina. Il tutto dentro un necessario reciproco riconoscimento tra Israele e Palestina, che non è però possibile se non si rendono ininfluenti le componenti estremiste presenti nei due campi».

Quello che tocca fare ai cristiani, in Terra Santa e nel mondo, è intensificare la preghiera per la pace: «La comunità cristiana può e deve pregare per la pace ed evitare di farsi trascinare nella logica da tifosi, perché la guerra è una tragedia e non è un derby di calcio», dice Patton, «va compresa la sofferenza presente in campo ebraico israeliano e va compresa la sofferenza presente nel campo arabo palestinese: da una parte e dall'altra è la sofferenza di persone concrete. Come cristiani non dobbiamo nemmeno aver paura di abbracciare posizioni pacifiste, che significa sostenere che la capacità diplomatica di negoziare deve prevalere sull'uso della violenza. Dobbiamo anche lavorare per un cambio culturale: non è affatto vero che la pace si garantisce con la deterrenza militare, l'Europa dopo la Seconda guerra mondiale scelse un'altra strada, quella della cooperazione e della condivisione delle risorse, nacque così un progetto di convivenza pacifica che metteva fine a secoli di guerra».

Patton sottolinea che «come cristiani abbiamo il dovere di non omologarci al pensiero unico di chi ritiene che il tema della pace sia un pensiero per anime belle scarsamente dotate di realismo, anzi coltivare la cultura della pace e lavorare per diffonderla e trovare i modi perché abbia una ricaduta politica a livello globale è una forma di realismo estremo, perché diversamente, come suggeriva già la Gaudium et spes 60 anni fa, andremo verso la distruzione globale».





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