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Tavolo con Mosca, ma prima le armi




Mentre il presidente ucraino Volodymyr Zelensky apre a una nuova conferenza di pace per il mese di novembre, annunciando la volontà di invitare al tavolo anche la Russia, il Cremlino continua con la sua doppia azione di guerra. Quella sul campo, già ben nota anche ai civili ucraini costretti a convivere con la minaccia quotidiana di bombe e missili, e quella ibrida. Alla marea di fake news e propaganda diffusa sul Web si aggiunge e si rafforza l'azione ostile verso l'Occidente: l'ultimo atto è il ritiro dell'accreditamento di sei diplomatici britannici accusati di spionaggio e di «minaccia alla sicurezza della Russia» , che arriva dopo l'inserimento dei giornalisti italiani che hanno osato documentare la realtà nel Kursk nella lista dei ricercati.

L'ipotesi di dialogo di Zelensky va interpretata nell'ambito del contesto da lui stesso rappresentato. La novità c'è, fino a poco fa aveva detto e ribadito che era impossibile negoziare con Putin, ma è più una flebile apertura che una svolta reale. Alla riunione sulla strategia europea di Yalta, il presidente ucraino ha infatti da una parte sottolineato che «siamo noi ad aver bisogno che la guerra finita, non Putin» per poi ribadire: «Se vogliamo sentire le parole la pace è finalmente arrivata, dobbiamo prima sentire l'Ucraina è diventata abbastanza potente da vincere. Questa è l'unica garanzia di pace. Non dipende solo da noi; Dipende anche dal mondo», tornando quindi a sottolineare quanto importante e decisivo resti il ​​sostegno occidentale per arrivare a un potenziale tavolo di pace in posizione di forza. «Putin non ha alcun interesse a finire la guerra. Finora Putin e la sua cerchia ristretta non hanno affrontato le vere conseguenze di questa guerra, ma devono farlo», ha detto ancora Zelenskyj. Perché l'apertura diventi potenziale svolta, quindi, c'è tempo.

Nel frattempo la Russia prosegue nella sua strategia di attacco e minaccia diffusa. L'Fsb, il servizio segreto russo erede del Kgb, ha fatto sapere che il ministero degli Esteri britannico è responsabile di «politiche sovversive nei confronti della Russia e in Paesi che facevano parte dell'Unione Sovietica» e addirittura un «servizio speciale il cui scopo principale è infliggere una sconfitta strategica alla Russia», al punto che «i diplomatici britannici inviati a Mosca pongono una minaccia alla sicurezza della Russia». Per questo è stato ritirato l'accreditamento ai sei diplomatici dell'ambasciata britannica a Mosca per quello che è a tutti gli effetti un tentativo di intimidazioni per condizionare le politiche di Londra nell'ambito del conflitto, proprio nel momento in cui il primo ministro Keir Starmer è negli Usa per vedere Biden. «Accusate contro il nostro personale sono completamente infondate», attacca un portavoce del Foreign Office britannico. «Non ci scusiamo per la tutela dei nostri interessi nazionali», continua la nota. «Non si parla di un'interruzione delle relazioni diplomatiche tra Russia e Gran Bretagna», ha detto il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, ma poco ci manca. Anche perché Mosca, dopo aver inserito i giornalisti italiani Stefania Battistini e Luca Traini nella lista dei ricercati, facendo infuriare il ministro degli Esteri Antonio Tajani che ha subito convocato l'ambasciatore, ha emesso anche un tragicomico mandato d'arresto.

Destinato, il generale ucraino al comando dell'operazione che ha portato all'invasione del Kursk Dmytro Krasilnikov. Lui ha violato i confini. La Russia, naturalmente no. Ulteriore dimostrazione di come le aperture verso il dialogo siano molto, molto complesse.



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