Istruzione

“Mi pagano?”. Quando l'educazione diventa vittima della mercificazione del lavoro. Lettera – Orizzonte Scuola Notizie


Inviata da Simone Billeci – “Mi pagano?”. È questa la domanda che, sempre più spesso, viene pronunciata dagli insegnanti ogni qualvolta viene proposto un progetto scolastico extra, mirato ad arricchire l'esperienza formativa degli studenti. E, diciamolo chiaramente, non si tratta solo di una battuta, ma di una vera e propria realtà in cui si stanno sacrificando le opportunità di crescita per i ragazzi sull'altare di una contrattazione economica esasperata. Ma perché siamo arrivati ​​a questo punto? E soprattutto, è giusto?

Viviamo in una società dove tutto sembra avere un prezzo, e l'istruzione non è da meno. Di fronte alla richiesta di aderire a progetti extra-curriculari, di promuovere iniziative innovative o semplicemente di fare un passo in più per gli studenti, molti insegnanti reagiscono con quella fatidica domanda: “Mi pagano?”. Il risultato? Molti progetti vengono abbandonati, non perché non siano validi o utili, ma perché mancano incentivi economici o perché gli insegnanti si sentono sottopagati e non vogliono fare di più del minimo indispensabile. Siamo così sicuri che questo atteggiamento non stia impoverendo irrimediabilmente il futuro delle nuove generazioni?

L'Insegnamento: una missione o un lavoro?

Per affrontare la questione, è necessario partire da una domanda più ampia: cosa significa essere un insegnante oggi? Fino a qualche decennio fa, la figura dell'insegnante era vista come quella di un mentore, una guida intellettuale e morale per le nuove generazioni. L'insegnamento era considerato una vocazione, una missione che andava oltre la semplice retribuzione economica. Oggi, però, le cose sono cambiate.

Gli insegnanti si trovano a lavorare in condizioni sempre più difficili, con stipendi spesso inadeguati rispetto all'impegno richiesto. È comprensibile, quindi, che molti di loro si pongano la questione economica ogni volta che viene loro richiesto di fare qualcosa in più, qualcosa che esuli dalle loro normali ore di insegnamento. Ma è davvero accettabile che si sacrifichino progetti educativi – e quindi opportunità di crescita per gli studenti – solo perché non c'è un compenso monetario immediato?

La mercificazione dell'istruzione

Il problema non riguarda solo la scuola. Viviamo in un'epoca in cui tutto è misurato in termini economici: il valore di un lavoro si riduce al compenso che ne deriva, e la passione, l'impegno e la dedizione sono spesso considerati un lusso che pochi possono permettersi. Questo tipo di mentalità ha finito per penetrare anche nel mondo dell'educazione, dove l'insegnante si sente sempre più un lavoratore a contratto, piuttosto che un professionista dedito alla formazione delle menti del futuro.

Ma questa mentalità non ha solo conseguenze economiche. Ha un impatto devastante sull'intera cultura scolastica. La domanda “Mi pagano?” non è solo un sintomo di disagio economico, è anche l'espressione di una crisi morale che sta minando le fondamenta del sistema educativo. Quando l'insegnamento viene ridotto a un semplice scambio di lavoro per denaro, la qualità stessa dell'educazione ne risente. Il rischio è quello di trasformare le scuole in fabbriche di diplomati, dove l'unico obiettivo è quello di completare il programma, senza preoccuparsi di formare cittadini consapevoli e critici.

La trappola del contratto

La scuola ha un problema strutturale: se pretende che gli insegnanti siano sempre disponibili, sempre pronti a dare quel “qualcosa in più” per il bene degli studenti, ma senza alcun riconoscimento aggiuntivo. E questo porta a una situazione in cui l'insegnante si sente costantemente in trappola. Da una parte, la vocazione pedagogica che l'ha spinto a scegliere questa carriera, dall'altra, una realtà lavorativa fatta di tagli, stipendi fermi da anni e un sistema che sembra dare per scontato il loro impegno extra.

Ma l'insegnante non può vivere di sola passione. Deve affrontare bollette, mutui, spese quotidiane, come qualsiasi altro lavoratore. E quando viene chiesto loro di partecipare a progetti senza compenso, è inevitabile che la domanda “Mi pagano?” diventi una questione centrale. Ma questo ci porta alla vera domanda: è giusto chiedere sempre di più agli insegnanti senza offrire loro nulla in cambio?

La deriva dell'istruzione: progetti sacrificati sull'altare dell'indifferenza

Di fronte a questa realtà, non sorprende che molti progetti scolastici vengano abbandonati o realizzati solo in modo approssimativo. Attività che potrebbero fare la differenza nella vita degli studenti – come corsi extra-curriculari, laboratori, uscite didattiche, programmi di tutoraggio – vengono accantonate perché gli insegnanti, legittimamente, si chiedono: “Perché dovrebbero farlo senza essere pagati?”.

Non si può biasimare del tutto chi si pone questa domanda. Tuttavia, bisogna anche riconoscere che questo atteggiamento rischia di impoverire enormemente l'offerta formativa per gli studenti. Un progetto educativo non è un'opportunità solo per gli insegnanti, ma soprattutto per i ragazzi. Quando viene sacrificato per ragioni economiche, chi ne paga le conseguenze sono loro. Invece di ricevere un'educazione arricchita da attività stimolanti e innovative, si ritrovano in un sistema scolastico standardizzato, rigido e privo di stimoli.

La soluzione? Ripensare il sistema

Siamo davanti a un bivio. Da una parte, c'è la strada della mercificazione totale, dove ogni progetto, ogni attività, ogni sforzo aggiuntivo deve essere compensato monetariamente. D'altra parte, c'è l'idea di un ritorno a una visione più alta dell'educazione, dove gli insegnanti non siano solo lavoratori a contratto, ma professionisti rispettati e adeguatamente compensati, in modo che possano dedicarsi anima e corpo alla crescita dei loro studenti.

Il sistema educativo deve essere riformato. Gli insegnanti devono essere pagati in modo adeguato per il lavoro che fanno, e devono avere la possibilità di partecipare a progetti extra senza sentirsi sfruttati o sottopagati. Ma allo stesso tempo, devono riscoprire il valore della loro missione educativa, comprendendo che il loro ruolo va oltre la semplice retribuzione. Se non si riesce a trovare un equilibrio tra queste due esigenze, il rischio è che si crei un sistema scolastico sterile, dove i progetti più ambiziosi vengono sacrificati per meri interessi economici.

“Mi pagano?” Il simbolo di un sistema malato

La domanda “Mi pagano?” è diventato il simbolo di un sistema scolastico in crisi, dove gli insegnanti sono schiacciati tra la necessità di sopravvivere economicamente e il desiderio di fare la differenza nella vita dei loro studenti. Ma non possiamo permettere che questa domanda diventi l'unico metro di misura del valore di un progetto educativo.

La scuola non dovrebbe essere un'azienda, e l'istruzione non dovrebbe essere trattata come una semplice transazione economica. Gli insegnanti meritano rispetto, riconoscimento e una giusta retribuzione, ma gli studenti meritano un'educazione che va oltre il minimo sindacale. Finché non troveremo un modo per risolvere questa tensione, continueremo a sacrificare il futuro dei nostri giovani sull'altare dell'indifferenza.



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