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Yara, Giulia e le loro famiglie, vittime infinite volte di un racconto senza pietas



L'attenzione morbosa per i delitti efferati c'è sempre stata. La cronaca nera esercita da sempre attrazione su di noi, da Caino e Abele passando per la tragedia greca, proviamo a esorcizzare la violenza raccontandola: una strategia antropologica per difendercene psicologicamente. Forse.

La cronaca giudiziaria, il diritto a essere informati, la dimensione pubblica del processo sono in sé atti di civiltà: dove tutto è segreto dove si arresta e si giudica nell'opacità, si annidano gli abusi del potere. Resta il fatto che, anche nella trasparenza, c'è modo e modo.

Nei casi tragici che hanno reciso le vite di Yara Gambirasio e Giulia Cecchettin, un aspetto tra i tanti ci colpisce: i genitori ei fratelli di Yara; il papà ei fratelli di Giulia hanno sempre mostrato una compostezza rara e tanto più ammirevole perché giunge da persone profondamente ferite nel modo più diretto: le uniche alle quali nessuno si sentirebbe di chiedere di non perdere la razionalità, se cedessero a intemperanze lo capiremmo. Ma non lo hanno mai fatto, anche quando le loro vicende sono state esposte oltre misura. Anche quando il racconto privo di riguardo ha aggiunto alla violenza una violenza indiretta, ma non meno dolorosa, che sembra non avere fine, sono rimasti composti.

Fanno discutere due episodi. Nei giorni scorsi Quarto Grado ha mandato in onda importanti stralci della confessione agli inquirenti di Filippo Turetta: si tratta di documentazione agli atti, non più segreta per legge, che entrerà nei prossimi giorni nel processo pubblico da poco iniziato. Non c'è violazione di segreto investigativo perché è già avvenuto il deposito dell'avviso di chiusura indagini, ci sono i requisiti del diritto di cronaca, ossia l'interesse pubblico, resta da capire, ma la questione è morale non legale, se sia proprio necessario per fare cronaca esporre il garbatissimo padre di Giulia allo stillicidio dell'omicidio di sua figlia vivisezionatose il diritto dello spettatore a essere informato deve essere informato per forza giungere all'esposizione spietata o se non si possa non passare per un modo più pietoso e rispettoso di tutti. Tra i tutti rientra anche Filippo Turetta, se non si volesse pensare a lui, ancora imputato non ancora condannato, seppure confessoe dunque ancora presunto innocente per la Costituzione, si potrebbe pensare alla sua famiglia, che il padre di Giulia, con il solito fermo coraggio, ripete di non poter giudicare. Se non lo fa lui, chi siamo noi per giudicare? Si dovrebbe comunque pensare alla famiglia di Giulia condannata a rivivere proprio malgrado.

Nel frattempo è giunta la notizia di un esposto della famiglia Gambirasio al garante della privacy: audio di intercettazioni dei genitori, in cui si percepisce soltanto la loro disperazione, non utilizzate nel processo, ma probabilmente agli atti e quindi nella disponibilità delle parti, sono finiti nella docuserie di Netflix: che ci sia stata o meno violazione della legge, si può parlare senza tema di smentita di pornografia del dolore allo stato puro.

Cui prodest, se non all'audience? Tutto questo attiene poco alla cronaca giudiziaria, – per altro imbrigliata da norme sempre più rigide, di dubbia opportunità, pur essendo l'unica parte regolata dal codice deontologico dei giornalisti – semmai riguarda lo spettacolo che si fa della giustizia, il cosiddetto “processo parallelo” ” o “mediatico” che dir si voglia che, senza regola alcuna, scimmiotta in Tv il processo vero sovente distorcendolo.

Nell'era della vita esposta sulla piazza dei social l'impressione è questo spettacolo vada sempre più degenerando, con la complicità di addetti ai lavori di ogni sorta, e che alla ricerca di una di catarsi si stia sostituendo una morbosità che non trova più limite nella pietà. Gli episodi di cui parliamo, che toccano famiglie già molto provate, suggeriscono che si sia passato il segno della civiltà: stiamo forse perdendo quel tanto di empatia che ci consente di attivare gli anticorpi etici che servono a immedesimarsi nella sofferenza altrui per evitare di aggravarla, quel freno interiore che ci si augura si azioni davanti all'eccesso che porta a calpestare l'altro, chiunque sia, eche dovrebbe essere regolato tanto dal comandamento cristiano dell'ama il prossimo tuo quanto dal suo corrispettivo laico non fare agli altri quello che non vorresti che sia fatto a te.

Sarà chi di dovere a stabilire se sia legale esporre quello che si è esposto, ma dato che da tempo abbiamo proficuamente diviso il legale dal morale, il sapere che una cosa è legale non ci esime dal dovere di interrogarci se sia anche eticamente accettabile, o anche soltanto opportuna; il fatto che sia ammessa dalla legge non ci impedisce di dirle “no grazie”, tanto come autori quanto come spettatori, se i particolari esposti e il soffermarsi a guardarli urtano la nostra umanità e la nostra sensibilità e se certamente procurano dolore gratuito ad altri più implicati di noi. L'offerta tra on demand e canali tematici è molto aumentata, questo permette a chi guarda una maggiore scelta. Invocare la censura sarebbe toppa peggiore del buco, già troppe tentazioni liberticide minacciano le nostre democrazie, ma esiste sempre e sarebbe bene non scordarsi di esercitare, in coscienza, la libertà di cambiare canale.





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