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The New Yorker celebra Don Luigi Ciotti, l’uomo che sfida la mafia


La prestigiosa rivista americana Il New Yorker ha recentemente dedicato un lungo e appassionato articolo a don Luigi Ciotti, fondatore dell'associazione Liberaimpegnata da decenni nella lotta contro la mafia e le ingiustizie sociali in Italia. L'articolo, scritto da DT massimotraccia un ritratto profondo e complesso del sacerdote torinese, soffermandosi sulle sue battaglie per i diritti dei più deboli e contro la criminalità organizzata.

L'articolo si apre con una scena emblematica, nella quale don Ciotti incontra una famiglia trasferita nel nord Italia per fuggire dalla Camorra. La madre, L., «sembra divertita dalle attenzioni» e racconta come essere la moglie di un camorrista «non sia così glamour come molti immaginano». Durante la conversazione, L. rivela di non essere mai stata «nella piazza più famosa della sua città», un simbolo di quanto la vita accanto ai boss mafiosi sia tutt'altro che dorata.

Massimo sottolinea come il compito di don Ciotti non sia solo quello di «separare queste famiglie dalla loro cultura criminale», ma anche di offrire loro «nuove identità e nuove vite», rendendo il loro passato irrintracciabile per proteggere queste persone non solo dai curiosi locali, ma anche dalla «onnipresente burocrazia italiana».

Il racconto si snoda attraverso la storia personale di don Ciotti, dalle sue umili origini nella provincia di Belluno, fino al trasferimento a Torino, «l'emblema dell'affluenza e della sofisticazione italiana», dove fin da bambino inizia a provare un profondo senso di ingiustizia. Un episodio narrato con grande vivacità da Massimoracconta come un giovane don Luigi, alle elementari, lanciò un calamaio contro una maestra che lo aveva insultato, definendolo «un contadino».

Nel cuore dell'articolo, emerge la trasformazione di Ciotti da giovane in procinto di diventare tecnico radiofonico a prete impegnato in prima linea accanto ai poveri e agli emarginati. Massimo descrivi l'incontro cruciale con un senzatetto che, seduto su una panchina, sottolineava con una matita rosso-blu alcuni passaggi di un libro. L'uomo racconta a don Ciotti di essere stato «un medico decaduto», dopo aver causato la morte di un paziente durante un'operazione in stato di ebbrezza. Questo incontro segna profondamente il giovane Ciotti, che decide di abbandonare la carriera tecnica per «fare qualcosa per i ragazzi di strada».

Nel 1965, Ciotti fonda il Gruppo Abeleun rifugio per tossicodipendenti, senza tetto e giovani in difficoltà. Il Gruppo Abele diventa ben presto un punto di riferimento per chiunque cerchi «un pasto caldo e un letto dove dormire», un luogo in cui i più deboli trovano accoglienza senza essere giudicati.

La svolta nella vita di don Ciotti arriva negli anni '90, quando le stragi mafiose che uccidono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sconvolgono l'Italia. Da quel momento, decide di fare della lotta alla mafia una missione prioritaria, fondando Libera nel 1995. Come racconta MassimoLibera diventa presto un faro nell'impegno civile contro la criminalità organizzata, non solo denunciando le mafie, ma anche promuovendo iniziative concrete, come la confisca dei beni ai mafiosi e il loro utilizzo per scopi sociali.

La visione di don Ciotti, riporta Massimoè chiara: «Prendere le terre ai mafiosi è un colpo al loro prestigio». Libera riesce a raccogliere «un milione di firme» per una legge che permette la confisca delle proprietà mafiose, trasformandole in aziende agricole e progetti educativi. «La mafia odia l'idea che i giovani italiani si riuniscano su terreni sequestrati per discutere come liberare il Paese dal crimine organizzato», scrive Massimoraccontando il successo dell'iniziativa che ridimensiona il mito mafioso.

L'articolo termina con una riflessione sul rapporto tra don Ciotti e la sua sicurezza personale. Da anni vive sotto scorta, con cinque guardie del corpo e un'auto blindata. Nonostante le costanti, come quella di Salvatore Riinache dal carcere ordinò: «Quando esci, voglio che uccidi quel figlio di… », Ciotti continua la sua battaglia senza sosta. «Il vero nemico», dice don Luigi a Massimo«è l'indifferenza», e la sua lotta contro la mafia, così come contro l'ingiustizia, non conosce tregua.

Con un racconto dettagliato e vivace, Il New Yorker dipinge un ritratto di don Ciotti che non è solo quello di un prete impegnato, ma di un simbolo di resistenza e speranza per un'Italia che vuole liberarsi definitivamente dalla mafia.





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