Economia Finanza

Beirut martellata dai caccia. Bibi mette l'Iran nel mirino




La palla rossastra della prima esplosione illumina la notte di Beirut senza il rumore di preavviso di una caccia in picchiata o di un missile lanciato da un drone. Gli israeliani hanno colpito tra domenica e lunedì un obiettivo nel quartiere di Bourj el-Barajneh. Le deflagrazioni secondarie, che lanciano lapilli rosso fuoco vero il cielo, dimostrano che è stato centrato un arsenale di Hezbollah. «Non è una buona idea fare i Grad (i razzi eredi degli organi di Stalin, nda) in cantina» è la battuta di un giornalista. I giannizzeri filo iraniani vengono martellati dal cielo da due settimane, ma ieri non hanno mancato di definire «eroici» gli attacchi di Hamas del 7 ottobre di un anno fa. Israele conferma di avere attaccato 120 obiettivi nelle ultime due settimane con 100 aerei. Non solo: ieri sera è arrivato su X l'«avvertimento urgente» ai civili libanesi di stare lontani «per la vostra sicurezza» dal litorale del Libano meridionale. Forse gli israeliani vogliono sbarcare squadre della Flottiglia 13, i corpi speciali della Marina, per colpire Hezbollah alle spalle.

A fare le spese dell'escalation è la povera gente sfollata in massa dalle zone dei combattimenti. Sulla Corniche, lo splendido lungomare di Beirut, sono accampate intere famiglie che hanno abbandonato le loro case di Dahiyeh, il sobborgo Sud della capitale, roccaforte di Hezbollah, preso di mira dall'aviazione israeliana. «Mio marito è morto in Siria sotto un bombardamento e mi sono trasferita a Beirut con le due bambine. Adesso vivo sul marciapiede sotto questo telo. Datemi almeno una tenda» è il lamento di Fatwa, coperta dal velo nero dalla testa ai piedi. «Non voglio saperne del 7 ottobre, della guerra. Finitela tutti. Vorrei solo vivere in pace» dichiara la madre disperata. Una donna più anziana si rotola a terra e urla «che capiti a loro quello che sta accadendo a noi» riferendosi al popolo ebraico. Kifah, un padre barbuto che tiene in braccio il figlio neonato sbotta: «L'Occidente non fa nulla per fermare l'invasione del Libano. Il 7 ottobre è un complotto». Per il tragico anniversario gli israeliani hanno bombardato anche di giorno. Nel pomeriggio i pennacchi di fumo grigio si sollevano sempre nella zona Sud della capitale, regno di Hezbollah. Un'alta colonna grigia si alza, improvvisa, a un passo dalla torre di controllo dell'aeroporto.

Sulle colline di Zahle, i militanti di Hezbollah danno appuntamento da un pugno di giornalisti per far vedere una palazzina residenziale sventrata dalle bombe. «Hanno sterminato una famiglia di sette persone compresi bambini» dichiara un esponente del Partito di Dio. L'impressione è che sia stato un attacco mirato, ma nessuno ti dirà mai se nella casa fatta a pezzi c'era un comandante di Hezbollah. Le forze di Difesa israeliane hanno mobilitato una terza divisione, la 91esima Galilea per le operazioni in Libano. Nonostante l'offensiva Hezbollah ha lanciato ieri 135 razzi sullo Stato ebraico. Al ritorno delle colline colpite sopra Beirut le zone sciite sono tappezzate dallo stemma del Partito di Dio, fucile e versetto del Corano. Non vedi nessuno in giro armato, ma tanti giovani barbuti, vestiti di nero, la «divisa» informale di Hezbollah, si muovono come schegge a bordo di motorini. Dopo un tornante il paesaggio cambia: non più donne velate, ma croci delle chiese cristiane, che dimostrano come la realtà confessionale in Libano sia a chiazza di leopardo.

Lungo la strada che costeggia Dahiyeh, la roccaforte di Hezbollah martellata dai caccia, si intravedono i pennacchi delle esplosioni e l'odore intenso provocato dalle bombe appena cadute ti penetra le narici. La tensione si taglia con il coltello in attesa del peggio, che potrebbe iniziare con la rappresaglia israeliana all'Iran nelle prossime ore e lo scoppio definitivo di una guerra regionale.



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