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Perché da quasi 11 mesi il Parlamento non riesce a eleggere il giudice costituzionale mancante



«Si tratta di un vulnus alla Costituzione compiuto dal Parlamento, proprio l'istituzione che la Costituzione considera al centro della vita della nostra democrazia. Non so come lo si vorrà chiamare: monito, esortazione, suggerimento, invito. Ecco, invito, con garbo ma con determinazione, a leggere subito questo giudice. Ricordo che ogni nomina di giudice della Corte Costituzionale – anche quando se ne devono scegliere diversi contemporaneamente – non fa parte di un gruppo di persone da eleggere, ma consiste, doverosamente, in una scelta individuale, di una singola persona meritevole per cultura giuridica, esperienza , stima e prestigio di assumere quell'ufficio così rilevante».

Con queste parole, garbate ma incisive, si esprimeva il Presidente della Repubblica Sergio Mattarellaa proposito, «della lunga attesa della Corte Costituzionale per il suo quindicesimo giudice». Epoca il 24 luglio scorso nel corso della Cerimonia del Ventaglio.

COME FUNZIONE L'ELEZIONE

Due mesi e mezzo sono trascorsi e il quindicesimo giudice, in sostituzione di Silvana Sciarra scaduta l'11 novembre 2023, ancora non c'è. L'elezione del nuovo giudice, da parte del Parlamento in seduta comune, sarebbe dovuto avvenire entro un mese dalla scadenza: ne sono passati quasi 11 e l'8 ottobre 2024 è andato a vuoto l'ottavo tentativo di votazione.

I giudici della Corte sono scelti da tre poteri in bilanciamento tra loro: cinque li sceglie il parlamento, cinque il Presidente della Repubblica, cinque sono espressione delle più alte magistrature. A qualificarli non è e non dovrebbe essere, neppure per quelli eletti dal Parlamento, l'appartenenza politica ma l'alto profilo giuridico che dovrebbe garantire le figure di garanzia: non è un caso che per la loro elezione sia prevista una maggioranza molto ampia, raggiungibile solo se la maggioranza e l'opposizione trovano convergenza su un nome di spessore condiviso. A differenza della Corte suprema americana, in cui il giudice, alla morte del predecessore, è nominato a vita dal Presidente in carica che in Usa è anche capo dell'Esecutivo, il giudice costituzionale eletto dal Parlamento italiano in seduta comune non è, né dovrebbe essere, espressione della maggioranza parlamentare che sostiene il Governoma una figura che rappresenta per le sue competenze una scelta condivisa al di sopra di ogni sospetto di interessi di parte.

Perché sta riuscendo così difficile arrivarci

La maggioranza di Governo – che in alcune voci più o meno dal sen fuggite non ha nascosto gli intenti di parte – all'ottava votazione ha cercato di eleggere a maggioranza il giudice di suo gradimento: una mail interna con la “precettazione” in aula di tutta Fdl è trapelata fuori dalle segrete stanze con un corredo di polemiche, anche per l'espressione «infami», che il presidente del Consiglio avrebbe adoperato riferita ai suoi scoperta la “fuga” di notizie, parola anch'essa diventata subito di dominio pubblico .

Quando la maggioranza si è accorta che l'opposizione, per una volta – rarissima avis –compatta ha rinunciato al voto, preso atto contando tutti i voti di non possedere i numeri per eleggere in autonomia e non volendo bruciare il candidato, ha votato scheda bianca , sortendo l'ennesima fumata nera.

IL RISCHIO DEL CONFLITTO DI INTERESSI

In questione non c'è tanto il profilo del candidato prescelto, Francesco Saverio Marini, che è professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico a Tor Vergata, con esperienza giuridica e accademica e figlio d'arte (il padre, esperto di diritto civile, era stato giudice della corte costituzionale prima di diventarne anche presidente, una ventina d'anni fa). In questione c'è il potenziale conflitto di interessi cui lo esporrebbe il ruolo di consigliere giuridico della presidenza del consiglio che attualmente ricopre.

Il punto non è tanto che Marini sia figura politica, di cui si conosce l'appartenenza – non è la prima volta che un giudice costituzionale ha un passato politico (è accaduto con Amato, con l'attuale presidente Barbera. Anche Sergio Mattarella veniva dalla precedente esperienza politica: è diventato giudice della Consulta nel 2011, ma non transitando da incarichi di Governo pur avendone ricoperti in passato, dal 2008 non era nemmeno più in Parlamento).

Il punto è che Marini non solo è l'estensore di una delle leggi manifesto del Governo in caricaquella sul premierato, che il presidente del consiglio definisce la “madre di tutte le riforme”. Ma che, in qualità di consigliere giuridico della presidenza del Consiglio in carica, ha contribuito a scrivere disegni di legge sfociati in norme che potrebbero finire nei prossimi mesi e anni al vaglio della Consulta su cui si troverebbe a giudicare come anche sull'ammissibilità di quesiti referendari su cui è compatta l'opposizione: una situazione che metterebbe in dubbio l'apparenza dell'indipendenza del giudice chiamato a pronunciarsi di fatto sul proprio lavorouna situazione imbarazzante soprattutto per chi, anche in presenza di un alto profilo, come giudice ci si dovesse trovare.

Non per caso nei Tribunali penali ordinari è la stessa procedura a prevedere obblighi di astensione in situazioni che lasciano anche solo presumere implicazioni personali.

I PROSSIMI SNODI

Proprio per evitare che si controllino, la Costituzione ha dato ai “contrappesi”, Consulta compresa, meccanismi di elezione/selezione tali da favorire il fatto che i giudici scelti siano esito di larghe o larghissime intese, non emanazione delle maggioranze. Il conflitto potrebbe farsi tanto più intenso, allorché la Corte ha calendarizzato per il 12 novembre il ricorso sull'Autonomia differenziata chiesto dalle Regioni del Centro sinistra. E la situazione potrebbe complicarsi ancora il 16 dicembre 2024quando scadranno i mandati dei giudici Barbera, Modugno e Prosperetti e ci si potrebbe trovare a eleggere quattro giudici contemporaneamente, 4/5 della quota parlamentare. Pretendere di farlo a colpi di maggioranza, significherebbe voler piegare la Corte a una parte. Ma l'esperienza dell'8 ottobre dimostra che trovare i numeri per imporsi anziché per mediare potrebbe non essere semplice, merito della lungimiranza dei padri Costituenti che hanno voluto un sistema equilibrato a tutela della Repubblica nel suo complesso.





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