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Il Sinodo, scuola di convivenza della diversità nella Chiesa



Cari amici lettori,

Come vivere la diversità di opinioni, di orientamenti, di stili? Come fare quando in un gruppo – che sia la famiglia, la parrocchia, un'associazione – emergono “note dissonanti”? Come farle convergere verso l'armonia? Detto in altre parole, come vivere “cristianamente” il conflitto?

Sono domande che fanno parte della nostra esistenza quotidiana ma anche della vita della Chiesa, dobbiamo in qualche modo affrontarle, pena rassegnarsi a un ordinario “dialogo tra sordi” o abituarsi ipocritamente a “nascondere la polvere sotto il tappeto” per paura di affrontare scontri che ci paiono ingestibili.

Per vivere serenamente il conflitto non ci sono ricette facili, ma percorsi e atteggiamenti che possono aiutare. Papà Francescoin apertura del Sinodo lo scorso 2 ottobre, ha dato alcune indicazioni che vanno in questa direzione.

La prima viene dalla scelta del Pontefice di far emergere la diversitànon nascondendola né, tanto meno, soffocandola. Dobbiamo esserne coscienti: oggi nella Chiesa c'è una “libertà di parola” che in passato è spesso mancato. Questa libertà però ha bisogno di “regole” per non diventare una babele.

La prima di queste regole, una attitudine di fondo richiamata dal Papa al Sinodo, è l'ascolto (e la comprensione) di tutte le voci «per discernere insieme la voce di Dio che parla alla Chiesa».

Questo però è venuto condizione per liberarsi da ciò che «impedisce alla “carità dello Spirito” di creare armonia nella diversità». Non può ascoltare la voce di Dio «chi con arroganza presume e pretende di averne l'esclusiva». In concreto, ciò vuol dire «non trasformare i nostri contributi in puntigli da difendere o agenda da imporre».

Molto realisticamente Francesco osserva che per far nascere «qualcosa di nuovo che è secondo il progetto di Dio» occorre anche essere talvolta «pronti a sacrificare ciò che è particolare» (cioè il proprio punto di vista). Altrimenti il ​​confronto diventa «dialogo tra sordi, dove ciascuno cerca di “tirare acqua al proprio mulino” senza ascoltare gli altri».

La presunzione di bastare a sé stessi è il grande rischio in agguato. Quante esperienze del genere ci vengono in mente che potrebbero elencare…

Altro atteggiamento fondamentale evocato da Bergoglio è l'umiltà: «Ci ​​sono molte persone forti, preparate, capaci di sollevarsi in alto»e tutto ciò «è una ricchezza che ci stimola, ci spinge, ci costringe a volte a pensare in modo più aperto»ma occorre non avere «un cuore chiuso nelle proprie convinzioni»la «capacità di rilassare i muscoli e di chinarsi».

Per essere “all'altezza”, ha detto, «l'unica via è quella di abbassarsi». Il rischio, altrimenti, è quello che san Paolo denuncia a proposito dei “forti”magari più illuminati di altri, ma anche troppo avanti e “impositivi” della propria visione (Romani 14-15).

Insomma, il Papa ha indicato una sorta di prerequisito: la Chiesa ha bisogno di «luoghi pacifici e aperti». Quando ci si confronta si deve poter «percepire attorno a sé la presenza di amici che ci vogliono bene e che rispettano, apprezzano e desiderano ascoltare» ciò che l'altro ha da dire.

Francesco ci sta indicando un nuovo stile di Chiesa che è comunione-comunitàche sa integrare la diversità, senza ferire la fraternità. Forse non potremo risolvere subito ogni questione e dovremo imparare a convivere con l'imperfezione, ma a piccoli passi, con vero spirito ecclesiale, nel piccolo come nel grande, potremo progredire nel nostro cammino di cristiani adulti.





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