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Concorrenza, salta il contributo delle Big Tech alla rete


Il contribuiscono al carico dei giganti del digitale per l'utilizzo della rete Internet non entrerà nella legge sulla concorrenza, nonostante il governo – per voce del ministro delle Imprese Urso – si fosse detto favorevole. Una vittoria per Big Tech e una sconfitta per le società delle telecomunicazioni, che prende forma mercoledì mattina in Commissione alla Camera, quando gli emendamenti paralleli presentati dai partiti di maggioranza vengono giudicati non ammissibili “per incompatibilità di materia”. Una norma pensata per riequilibrare i rapporti di mercato tra chi gestisce la rete Internet e chi con i suoi servizi – social, ricerca, video, giochi, streaming – ne occupa una larga parte non è stata evidentemente ritenuta compatibile con una legge a favore della concorrenza .

Di che cosa si tratta? Gli emendamenti, simili nel concetto, avrebbero obbligato i grandi utilizzatori della rete (pensiamo a Google, Meta, Netflix, Microsoft) a pagare un contributo alle società delle telecomunicazione per i costi di gestione e gli investimenti, da definire in una contrattazione provata tra le parti con l'Agcom a fare da arbitro. Di un intervento di questo tipo si discute da tempo, anche in Europa, ma finora senza esiti. Le società telco, alle prese con margini strettissimi e difficoltà ad investire, lo richiedono da tempo. Le società digitali si oppongono con una serie di argomenti contrari, dall'impatto (di prezzo) sui consumatori finali alla violazione del principio di neutralità della rete.

Dopo che Draghi ha inserito questa raccomandazione nel suo rapportole telco italiane erano tornate a farsi avanti e sembravano aver trovato ascolto. I partiti di maggioranza – Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia – tutti hanno presentato emendamenti in questo senso alla legge sulla Concorrenza. Lunedì poi era stato il ministro delle Imprese Adolfo Urso a parlare di intervento “necessario”, dopo che nei giorni precedenti il ​​suo ministero aveva avuto un incontro tecnico con le telco. Il governo in realtà non era del tutto compatto, visto che il sottosegretario all'Innovazione Alessio Butti è sempre stato contrario al contributo. Dietro questo stop “di forma” in commissione ci potrebbero anche essere le preoccupazioni politiche per il potenziale impatto che l'intervento avrebbe avuto sugli investimenti di Big Tech in Italia. Non è chiaro al momento se Urso e il suo ministero, che “ci stavano lavorando”, lo ripresenteranno in un altro contenitore.



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