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In Africa la priorità è investire su scuole e salute: l’appello dei missionari al G7 Sviluppo



È il 1957. Kwame Nkrumahprimo presidente del Ghana indipendente e figura simbolo del panafricanismo, interviene a un incontro di studenti universitari nella città tedesca di Friburgo. «La persona che mi ha presentato ha detto che io sono il responsabile del ridestarsi di questo grande continente», esordisce. «Credo che non sia vero: se vogliamo considerare la situazione in modo più esatto, debbo dire che i responsabili della presa di coscienza della nostra dignità di africani sono stati i missionari cristiani con le loro scuole». Parole che sono state pronunciate ancora, quasi 70 anni dopo. Citazioni in tempi nuovi, nei quali pure ci si interroga sui rapporti tra Nord e Sud globale, tra colonizzati e colonialisti, tra chi sfrutta e chi crea opportunità.

Siamo nella sede della prefettura in piazza Italia, a Pescara, la città abruzzese che ospita le riunioni ministeriali del G7 dedicate alla cooperazione e allo sviluppo. I rappresentanti delle maggiori potenze d'Occidente promettono di investire in Africa. E ascoltano le voci dei missionari, grazie a una conferenza voluta dal ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale Antonio Tajani.

A citare Nkrumah è padre Giulio Albanese, direttore delle Comunicazioni sociali del vicariato di Roma, membro del Consiglio della sezione per i Rapporti con gli Stati e le organizzazioni internazionali della segreteria vaticana ma anche e soprattutto comboniano, con anni di esperienza in Kenya, Uganda e altri Paesi a sud del Sahara. A Pescara partecipa a un incontro dedicato alla “formazione per lo sviluppo”, occasione per riflessioni, critiche, proposte. Si parte però dai dati. L'Africa ha un miliardo e mezzo di abitanti, con un'età media di circa 20 anni. È un po' il futuro del mondo e fa fronte a sfide cruciali: secondo l'Onu e l'Unione Africana, solo a sud del Sahara 98 milioni di bambini in età scolare non frequentano gli istituti. Allargando lo sguardo all'intero continente si scopre poi che l'86 per cento degli alunni ha difficoltà a leggere e comprendere un testo base prima di compiere dieci anni: una quota cresciuta con la pandemia di Covid-19 e con le ricadute internazionali del conflitto tra Russia e Ucraina.

Cosa fare? Invertire la tendenza, risponde monsignor Emilio Nappapresidente delle Pontificie opere missionarie (Pom), istituzione vaticana per l'evangelizzazione presente in ben 123 Paesi del mondo. Secondo l'arcivescovo, un colloquio con Famiglia Cristianala scuola è la priorità delle priorità. Se ne parla anche a proposito del Piano Mattei, l'iniziativa del Governo italiano che promette “una cooperazione tra pari” e “un approccio non predatorio” con l'Africa. «La missione delle Pom è portare il Vangelo dove non c'è o dove è stato dimenticato; e si può portare il Vangelo solo dopo che i bisogni primari sono stati soddisfatti». Monsignor Nappa spiega: «Non si può ascoltare il Vangelo se non ci sono le panche, una chiesa o una scuola, e se non si garantisce il diritto alla sanità». Il presidente delle Pontificie opere missionarie aggiunge: «Noi cooperiamo per creare il contesto perché l'evangelizzazione si diffonda, per l'umano e l'umano cristianizzato; questa è la visione della Chiesa, per promuovere, riconoscere e difendere la dignità umana in ogni colomba».

Un testimoniare è anche monsignor Antonio D'Angeloarcivescovo dell'Aquila. «L'azione di formazione è anzitutto stare accanto», scandisce durante la conferenza. «Non andare lì per dire chissà cosa, ma mettersi accanto, come compagni di viaggio». È la prospettiva di condivisione che segna il progetto di scuole di cinema menzionato da monsignor Dario Viganòvicecancelliere della Pontificia accademia di scienze sociali. «L'iniziativa è partita un po' di anni fa, da Algeri a Marrakech, da Tunisi a Beirut», spiega. «I corsi durano 24 mesi e danno competenze su sceneggiatura e regia, con anche percorsi all'università Uninettuno e al Festival di Roma nella sezione giovanile “Alice nella città”». Si tratta, secondo monsignor Viganò, di «permettere l'incontro tra le competenze dell'Italia e la sensibilità dei vari Paesi d'origine, favorendo l'integrazione e facendo nascere novità interessanti».

Storie piccole, segno di speranza in un mondo più grande e complesso. Prospettive che, a Pescara, stanno le un accanto alle altre. Ecco allora Antonio Tajani: «Se abbiamo una politica estera italiana presente fortemente in Africa lo dobbiamo anche al lavoro dei missionari, che sono italiani e italiani, che parlano italiano e che portano il buon esempio». Al centro della conferenza ci sono però anche ingiustizie e promesse tradite, come quella fatta in sede Onu oltre 50 anni fa e mai mantenuta di portare l'Aiuto pubblico allo sviluppo ad almeno lo 0,70 del Reddito interno lordo dei Paesi più ricchi.

«La cooperazione serve poco o nulla senza un impegno contro i meccanismi sistemici che acuiscono e determinano la miseria in Africa», riprende padre Albanese. Il suo riferimento è alla “vexata quaestio” del debito pubblico. «Dalla crisi globale in poi», denuncia il comboniano, «i Paesi africani hanno sostituito un debito multilaterale a basso costo con un altro contratto con fondi speculativi e private equity, molto più oneroso ea breve termine». Stando a questa analisi, «il debito è stato finanziarizzato e il maggior costo del suo servizio ha fatto sì che in Africa si sia raggiunta la cifra di 1200 miliardi di dollari, a fronte di un Pil continentale che non vale più di 3000 miliardi». Il risultato? «La mancanza di infrastrutture e anche di scuole”. Da qui il «pressante appello» del «mondo missionario». È contenuto in un documento consegnato durante la conferenza a Tajani e alla presidenza italiana del G7. «Bisogna sostenere le iniziative educative nel vasto continente africano», si legge nel testo. «Si tratta di una macroregione con straordinarie potenzialità, non solo materiali, ma soprattutto umane e spirituali».

(Foto di Vincenzo Giardina)





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