Cinema

Don't Move, la recensione: la premessa horror è interessante ma rischia di limitare il film – Badtaste


Una ragazza che ha perso il figlio sta per suicidarsi buttandosi in un dirupo. Un ragazzo che passa da quelle parti la convincere a non saltare. Potrebbe essere l'inizio di una storia d'amore in stile Titanico. Invece il giovane è uno psicopatico che vuole ucciderla. Lei si libera, ma lui l'ha drogata con un anestetico che in pochi minuti la paralizza.

È vero: a un certo punto la protagonista scappando lascia cadere un coltello, unica arma a sua disposizione. Ma a parte questo Non muoverti è un film piacevolmente lontano dallo stereotipo per cui i personaggi degli horror si comportano in modo idiota e/o suicida. L'eroina è immobilizzata (può vedere, sentire e comunicare sbattendo le palpebre); sulla strada per ucciderla il killer finge che sia ubriaca o narcolettica, cosa che in altri film funzionerebbe: qui invece non gli crede nessuno. Un giardiniere, una donna a un distributore di benzina, un poliziotto – tutti intuiscono che qualcosa non va e gli mettono i bastoni fra le ruote.

Questo livello di diffidenza e realismo delle reazioni umane è ciò che rende rinfrescante Non muoverti vieni al cinema di genere. Il film trova il suo passo nella parte centrale, basato sulla sfida tra il maniaco e le persone che gli si parano davanti. Questi confronti sono gestiti con intelligenza, evitando quel senso di superiorità spettatoriale che porta a non credere nell'ingenuità dei personaggi in scena e rende difficile la sospensione dell'incredulità.

Dove il film invece scricchiola è nella gestione della protagonista, come detto immobilizzata per gran parte del film. È un problema narrativo, perché non è per niente facile costruire una messa in scena che scongiuri la monotonia di un personaggio totalmente passivo, perlopiù spettatore ea cui le cose “succedono intorno” anziché procedere dalle sue azioni. Una sfida che Non muoverti perde, calando di tensione tutte le volte che la protagonista resta sola col killer e che viene a mancare un ostacolo esterno.

Ma è anche un problema di significato: come in molti horror contemporanei (da Babadook in poi) viene suggerito che l'incubo del rapimento sia anche una metafora dello stato d'animo dell'eroina, in questo caso del lutto da superare; ma di nuovo i realizzatori non riescono ad aggirare il limite che l'immobilità del protagonista comporta per la sua caratterizzazione. Non sappiamo chi sia, cosa provvi al di là della paura e del dato iniziale della perdita del figlio; in breve, non siamo investiti nel suo personaggio. E così quando il finale di Non muoverti suggerisce in modo abbastanza enfatico che c'è stata una catarsi, una grande evoluzione, se fa molta fatica a crederci.



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