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Il Papa: ‘Basta dire che i preti che si occupano dei poveri sono comunisti’



«Per favore, il povero non può essere un numero, non può essere un problema o peggio ancora uno scarto. Egli è nostro fratello, è carne della nostra carne. E, per favore, non diciamo che i preti, le suore che lavorano con i poveri sono dei comunisti! Per favore, questo si dice ancora». Papa Francesco interviene nell'incontro conclusivo del percorso che ha visto al diocesi di Roma interrogarsi, a partire dallo scorso febbraio, sulle orme del Convegno sui mali di Roma organizzato nel febbraio del 1974. «Roma era una città povera e conflittuale e il convegno del '74 fu una di quelle pietre miliari che diede forma alla vita diocesana, chiamando a raccolta tutto il popolo, creando un soggetto ecclesiale forte, parlando francamente dei dolori di Roma», ha ricordato monsignor Baldo Reina, vicario generale del Papa per la diocesi di Roma. Nella basilica di San Giovanni in Laterano, ricordando anche il Concilio, Paolo VI e l'instancabile opera di don Luigi Di Liegro, il cardinale eletto aggiunge che «potremmo dire che in quel momento nacque la Chiesa locale, postconciliare e contemporanea. In tantissimi parteciparono, furono preparati 320 documenti dalle diverse realtà romane e vennero fatti 740 interventi nelle cinque assemblee». Quel convegno ebbe «il genio di leggere Roma con realismo e proporre la speranza di una città diversa, soprattutto mostrò che non si doveva essere inerti ma si poteva fare molto per cambiare. Ci è sembrato giusto nell'arco di quest'anno ritornare a quell'evento». Tra la fine del Sinodo e l'inzio del Giubileo «una Chiesa chiamata a scommettere stile della sinodalità ea vivere l'incontro con la misericordia di Dio per dare speranza a chi l'ha perduta» non può che ripartire da quell'incontro « non per guardare indietro ma per osservare evangelicamente il tempo che viviamo» sapendo che «tanti, tantissimi, nella nostra città rimangono indietro; è come se per loro i diritti non valessero pienamente».

Snocciola le cifre Marco Damilano, facendo sintesi del lavoro che la diocesi ha svolto in questi mesi. Non senza aver prima fatto riferimento a un brano del Vangelo di Matteo attinto da quel volumetto «che Di Liegro dava a noi giovanissimi negli anni Ottanta». «Roma è una città di persone sole», denuncia il giornalista. «Le famiglie composte da una sola persona sono il 46 per cento, nel centro storico sono quasi il 60. L'etα media è di 44,7 anni, abbassata da chi è nato all'estero. Roma è divisa tra la città ricca, che abita in case grandi e ha i migliori livelli di istruzione, e la città povera, che vive tra disoccupazione elevata, densità abitativa, scarso trasporto pubblico, reti criminali

e mafioso. Bassi livelli di istruzione si accompagnano a scarse opportunità di occupazione, a livelli di reddito bassi. Nel quartiere Parioli ci sono 8 volte i laureati di Tor Cervara». E ancora, aggiunge, «Roma è la città dei senza tetto, i 23.420 senza tetto e senza fissa dimora censiti. I migranti, i richiedenti asilo. I ritenute, le prostitute e le vittime di tratta sessuale, le donne che hanno subito violenza seguite dai Centri Antiviolenza e dalle Case Rifugio.

Roma è la città piazza di spaccio più grande d'Europa, dove convengono bande criminali e mafie». Ed è anche «la città dove la politica è venuta giù, è collassata. è il cuore della politica nazionale, ma è anche la città della desertificazione democratica, dove da anni in quasi tutte le consultazioni, amministrative o nazionali, vota meno della meta degli aventi diritto. In alcuni municipi alle ultime elezioni europee del 9 giugno 2024 ha votato circa un terzo degli elettori. E sono i municipi più disagiati sul piano economico-sociale».

E allora occorre «Ricucire lo strappo», come recita lo slogan dell'Assemblea diocesana e riportare fiducia ricostruendo alleanze che mettono al centro la dignità umana, attraverso il dialogo e la collaborazione tra diverse istituzioni e generazioni. Bisogna seminare speranza attraverso opere concrete e di non incoraggiarsi di fronte alle problematiche sociali, ma di agire «con la certezza che il Signore guida la storia».

E se da una parte, ha sostenuto papa Francesco al termine dell'incontro, «ci addolorano queste disuguaglianze, dall'altra ci fa comprendere quanto sia ancora lunga la strada da percorrere. Sapere che ci sono persone che vivono per strada, giovani che non riescono a trovare un lavoro o una casa, ammalati e anziani che non hanno accesso alle cure, ragazzi che sprofondano nelle dipendenze dalle droghe e in molte altre dipendenze 'moderne', persone segnate da sofferenze mentali che vivono in stato di abbandono o disperazione, questo non può essere solo un dato statistico». Perché si stratta di «volti e storie di nostri fratelli che ci toccano e ci interpellano: cosa possiamo fare noi? Vediamo nella storia ferita di queste persona il volto di Cristo sofferente? Siamo capaci di vedere questo? Avvertiamo il problema per farcene carico? Cosa possiamo fare insieme? Fare una festa per ricavare soldi per i poveri? L'ipocrisia è tanta».

Francesco chiede a tutti, alle istituzioni che sono in prima fila, alle parrocchie, ai credenti, di non voltarsi dall'altra parte: «Come possiamo accettare che nella nostra Città si buttino quintali di cibo e allo stesso tempo ci siano famiglie che non hanno da mangiare?», si chiede. «Questo lo vedo anche in un ristorante, vicino al Vaticano. O che ci sono migliaia di spazi vuoti e migliaia di persone che dormono su un marciapiede? Una città che assiste inerme a queste contraddizioni è una città lacerata, così come lo è l'intero nostro pianeta».





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