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Padre Gutierrez, il prete e teologo che ha saputo dire ai poveri che Dio li ama





Un gigante. Questo è stato Gustavo Gutiérrez, prete peruviano scomparso il 22 ottobre a 96 anni. Non certo per il fisico, dati la bassa statura e l'andatura claudicante provocatagli da un'osteomielite infantile.

Ma gli occhi vivacissimi e il sorriso sornione facevano intuire un'intelligenza non comune, peraltro forgiata da solidi studi in medicina, psichiatria, filosofia, teologia e psicologia in Perù, Cile, Belgio, Italia e Francia, e soprattutto da una pratica pastorale vissuta insieme ai miserabili della periferia di Lima, a quanti sono “destinati a morte prematura” .

Infatti Gustavo Gutiérrez è stato uno dei teologi principali dell'ultimo secolo, all'origine della prima corrente teologica moderna sorta fuori dall'Europa, ben presto varcando i confini dell'America Latina per contrastare la vita e la fede di milioni di persone in tutto il mondo, e l'unica a trascendere l'ambito ecclesiastico per diventare oggetto del dibattito pubblico.

La domanda pressante su “come dire ai poveri che Dio li ama, quando la loro vita sembra mostrare il contrario” lo aveva condotto nel 1971 a sistematizzare nell'opera Teologia della liberazione. Prospettivo la riflessione critica sull'esperienza di fede (incontro con Dio) vissuta dai cristiani che, sempre più numerosi in America latina, si inserivano nelle lotte per la giustizia sociale.

Due le intuizioni fondamentali del prete peruviano: che la teologia è sempre un “atto secondo”, cioè viene dopo la sequela di Gesù attraverso la preghiera e l'impegno per gli esclusi; e che lo schierarsi dalla parte degli oppressi è costitutivo del discepolato perché riflette l'amore speciale di Gesù per gli ultimi (Benedetto XVI parlerà anni dopo dell'opzione preferenziale per i poveri come “implicita nella fede cristologica”), non perché “buoni” o “pii”, ma perché la loro condizione contraddice la volontà di Dio che tutti abbiano vita in abbondanza.

Di conseguenza la Teologia della liberazione, sintetizzava p. Gutierrez. “non si limita a pensare il mondo, ma cerca di porsi come un momento del processo attraverso cui il mondo è trasformato”aprendosi al dono del Regno di Dio nella protesta contro la dignità umana calpestata e nel riconoscimento dei poveri non come mero oggetto di carità, ma come “soggetto storico”, protagonisti della propria emancipazione.

Nell'ultimo mezzo secolo ciò ha motivato decine di migliaia di credenti all'impegno per la costruzione di una società giusta e solidale, ma ha anche turbato i sonni dei potenti (tanto da meritare studi dei think tank conservatori degli Stati Uniti e apposite conferenze degli eserciti di tutto il continente americano, oltre a vedere alcuni propri esponenti perseguitati e uccisi) e suscitato controversie nell'istituzione ecclesiastica, soprattutto per la sua presunta dipendenza dal marxismo.

Lo stesso padre. Gutierrez era stato oggetto di un lungo procedimento aperto presso l'allora Congregazione per la Dottrina della Fede circa l'ortodossia del suo pensieroconclusosi senza condanne. Comunque non se ne era mai fatto amareggiare, sempre capace di ridimensionare la propria fatica di fronte alla sofferenza patita dalla sua gente e sorretto da quell'arguto senso dell'umorismo che negli anni '90, a chi gli chiedeva se la teologia della liberazione fosse morta, gli faceva rispondere: “Non lo so, però nessuno mi ha invitato al funerale”.

Così nei giorni scorsi papà Francesco lo ha definito “un grande uomo, un uomo di Chiesa che ha saputo tacere doveva quando tacere, che ha saputo soffrire quando doveva soffrire, che ha saputo portare avanti tanto frutto apostolico e tanta ricca teologia”.





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